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Il tema dell’impiego dei soldi dei pensionati, già ampiamente dibattuto a tutte le latitudini, ha da qualche settimana tenuto banco nella discussione politica australiana a seguito della proposta del dotto ministro delle Finanze laburista Jim Chalmers di limitare i riscatti da parte dei beneficiari dei piani pensionistici qualora le necessità della vita lo suggeriscano (acquisto della casa, spese indifferibili ecc.).

Colto dal medesimo furore anti-monetarista che ha animato il suo recente saggio sul ‘value-based capitalism’, aperto peraltro dalla citazione di un frammento di Eraclito di Efeso, Chalmers ha delineato il suo progetto di riforma del sistema pensionistico di Canberra – i cosiddetti superannuation schemes – volto a ridirigerne i flussi verso un investimento di lungo termine sulla trasformazione ecologica e l’assistenza sociale domestiche.

La svolta sarebbe epocale non soltanto per l’aggregato coinvolto, che con i suoi $ 2.300 mld ne fanno uno dei più dotati su scala globale, ma anche per il salto culturale che farebbe dell’Australia non più un Paese esportatore netto di capitali bensì un investitore introvertito che semmai ambisce ad attrarre a sua volta capitali stranieri per associarli a sé nello sforzo di conversione dell’economia domestica.
Qual è l’utilità di volgere lo sguardo verso il sistema pensionistico di un Paese agli antipodi geografici rispetto al nostro e col quale l’interscambio è giocoforza ridotto?

Comprendere che utilizzo intende fare del risparmio dei pensionati significa in ultima istanza intuire il senso più profondo che un Paese intende dare al proprio stare nel mondo. Eccettuati i casi particolari come Qatar e Norvegia, dove l’impiego domestico delle imponenti masse a disposizione dei veicoli di investimento statali provocherebbe una fiammata inflazionistica impossibile da spegnere, in generale l’esportazione dei propri capitali da parte dei Paesi che ne hanno in sovrappiù denota un intento di perseguire il puro ritorno finanziario andando alla ricerca delle migliori opportunità su un orizzonte globale. Viceversa, l’introversione obbedisce più a logiche politiche di sviluppo dell’economia nazionale anche accettando il relativo costo opportunità.

La svolta del governo di Anthony Albanese cambia quindi la postura geopolitica del Paese in quanto ai pensionati verrà richiesto di mettersi maggiormente in connessione sentimentale con lo stesso e con i valori laburisti, per di più con limitate possibilità di incidere sul mandato di gestione pensionistica, e di rinunciare a perseguire il ritorno economico fuori da una logica value-based a beneficio di Downunder.

Si tratta di una questione puramente economica? Per nulla. Uno studio della Leeds Business School e del BrightonRock Group illustrato al Parlamento di Westminster lo scorso novembre ha stimato in circa £ 500 mld il totale degli assets perduti dai fondi pensione britannici a seguito della drammatica crisi dell’autunno scorso che è costato il posto a Liz Truss dopo appena un mese e mezzo di permanenza al n. 10 di Downing Street.

In percentuale si tratta di una perdita di circa il 20% del valore pre-crisi (fonte: Office for National Statistics) ma quel che più conta – visto che l’origine della crisi è da rintracciarsi nella messa in leva del portafoglio di gilts in pancia ai fondi pensione – è che la svendita di assets ha ridotto in misura considerevole la sovranità economico-finanziaria del Paese specie sul piano delle detenzione di titoli di Stato da parte di soggetti domestici.

Non esiste, quindi, un modello intrinsecamente superiore agli altri per quanto riguarda la gestione degli assets pensionistici perché se è vero, da un lato, che il proiettare potenza o il semplice considerare prioritario lo sviluppo dell’economia nazionale ne postula necessariamente un ‘reclutamento’, dall’altro, una gestione dissennata di tali assets compromette l’obiettivo sia del ritorno per i beneficiari che del sostegno economico generale.

Di ciò e delle esperienze straniere più rilevanti dovrà perciò tener conto anche il governo di Giorgia Meloni, che soltanto qualche settimana fa si è posta come obiettivo prioritario, di ispirazione giapponese, quello di ridurre la quota di debito pubblico in mano a investitori internazionali e di dare nel contempo un forte slancio alla crescita per mitigarne il rischio.

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