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Gli scontri in Sudan continuano, nonostante i cessate il fuoco pensati per permettere l’uscita dal Paese dei cittadini stranieri. Le tregue, rinnovate e prolungate, servono anche ai due schieramenti combattenti – le Forze armate sudanesi (Saf) guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan, e le Forze di supporto rapido (Rsf), unità paramilitare di Mohamed Hamdan Dagalo – per mostrarsi affidabili davanti alla Comunità internazionale, perché quella che si sta combattendo è una partita interna, per il controllo del potere in una fase che riguarda non solo il presente ma anche il futuro del Paese.

Però c’è di più: il ruolo che le varie potenze internazionali stanno giocando all’interno degli scontri, perché il Sudan ha un peso geo-strategico non secondario. Terzo per estensione in Africa, posto tra Corno e Mar Rosso, Khartum da tempo attrae le attenzioni di vari attori internazionali. Chi vincerà gli scontri potrà in qualche modo essere interlocutore per gli interessi esterni che si muovono sul Paese.

La situazione — mantenuta sul filo di un precario equilibrio anche attraverso il ruolo di attori esterni — è precipitata infatti mentre il Sudan si stava muovendo verso la cosiddetta “transizione democratica”, che avrebbe dovuto seguire il rovesciamento del regime di Omar al-Bashir e la fase successiva di insurrezione guidata dagli stessi al-Burhan e Dagalo. Lo scontro si lega all’assenza di un accordo sull’istituzionalizzazione delle Rsf e in particolare sulla riorganizzazione degli assetti economici che controllano rispettivamente. Le Saf hanno in mano l’apparato economico sia civile che militare, telecomunicazioni, agribusiness, import/export; mentre le Rsf controllano le miniere, e in particolare quelle delle Darfur.

Qui si inserisce il ruolo russo, spiega Marco Di Liddo, direttore del Cesi ed esperto delle attività che la Russia muove in Africa. “Attraverso la Wagner (una società militare privata controllata da Yvegny Prigozhin, oligarca della sicurezza molto inserito nelle dinamiche interne al Cremlino, ndr) è stato offerto in Sudan il classico pacchetto di servizi alle Forze di supporto rapido”, analizza con Formiche.net.

Questo “classico pacchetto” è composto dall’invio di personale qualificato che lavora per il Wagner Group messo a protezione delle miniere, ma anche nel supporto nell’addestramento alle Rsf. Dunque protezione dei punti di estrazione e delle vie di comunicazione collegate (quelle che collegano i siti estrattivi con i centri di lavorazione e stoccaggio), mentre i paramilitari russi aiutano quelli sudanesi a migliore le proprie capacità.

Ma c’è molto di più: “Un altro dei pilastri della presenza russa in Sudan – spiega Di Liddo – riguarda il supporto politico con cui la Wagner aiuta le Rsf a migliorare il network internazionale e a giocare la partita politica interna, sia come organizzazione che come leadership (ossia un supporto di comunicazione e lobbying per Dagalo, ndr)”.

Poi ci sono i servizi economici: “La società di Prigozhin ha esperienza nella gestione delle miniere, che in Africa avviene attraverso altre società da lui controllate come la Lobaye Invest e la M Finans”. Entrambe le società, una basata in Repubblica Centrafricana, l’altra in Russia, sono state sanzionate dal Tesoro statunitense nell’ambito delle attività di contrasto e controllo delle attività di Prigozhin considerate illegali dagli Usa.

Di Liddo indica, collegato a questo quadro di attività, un altro elemento, forse ancora più centrale. “La Wagner ha permesso la creazione di una zona ibrida tra economia legale e illegale, perché il Sudan ha difficoltà a essere internazionalizzato e commercializzato visto che è sottoposto a sanzioni per via delle violazioni di diritti umani e dei diritti dei lavoratori. E allora l’unico modo per esportare i prodotti estratti da quelle miniere, di cui il principale è l’oro, è usare il network di cui Wagner dispone”.

Il direttore del Cesi, autore di diversi studi sulle dinamiche della società russe, spiega che Wagner ha “contatti anche all’interno della mafia russa e anche tramite questo aiuta le Rsf a vendere ed esportare l’oro sotto traccia, indirizzandolo verso aree come per esempio quelle del Golfo, soprattutto negli Emirati”.

La situazione è critica. Paesi come gli Emirati e l’Arabia Saudita o l’Egitto, sono chiamati per interessi diretti e per pressioni occidentali — soprattutto da parte degli Usa — a cercare una via per ristabilire l’equilibrio. Il rischio nei prossimi giorni è che l’esodo di massa degli stranieri porti Burhan e Dagalo a intensificare la lotta per Khartum con ancora meno riguardo per le vittime civili di quanto mostrato nei primi giorni del conflitto. Se poi si aggiungono ruoli, interessi e spinte di attori destabilizzatori come la Wagner, le varie dimensioni della crisi sudanese assumono un valore internazionale.

Wagner Group

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