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Il lavoro nel nostro Paese ha sempre ricoperto un ruolo di fondamentale importanza sociale ed economica, al punto d’erigersi, nell’articolo 1 della Costituzione, a fondamento dell’intera Repubblica. È, dunque, attorno al lavoro che gravita il nostro baricentro sociale: attraverso lo stesso, infatti, l’individuo si nobilita moralmente e la collettività progredisce generando nuove risorse.

Ad oggi, quindi, l’imperativo resta il medesimo: creare lavoro, attraverso lo sviluppo delle imprese e il coinvolgimento attivo dei lavoratori.

L’obiettivo del nostro Paese deve, pertanto, essere quello di un rapido abbandono delle politiche passive del lavoro, votate esclusivamente all’assistenzialismo, in favore dell’incremento occupazionale tramite efficienti politiche attive, orientate all’inserimento delle singole risorse nel mondo del lavoro.

Infatti, ancora troppi cittadini sono esclusi dalla possibilità di un reddito da lavoro: vuoi perché trascurati sotto l’aspetto delle strategie occupazionali, vuoi perché in attesa di millantate provvidenze pubbliche.

A tal fine, allora, non occorrerà soltanto eliminare le fallimentari politiche passive sperimentate negli anni, ma, soprattutto, sarà necessario rendere il lavoratore consapevole dell’importanza sociale ed economica della sua attività lavorativa rispetto al mero assistenzialismo. Il fulcro della ripresa, quindi, risiede nel simultaneo sviluppo occupazionale contestualmente all’attivo coinvolgimento della forza lavoro sul lato etico e sociale.
Il lavoratore, infatti, deve essere incentivato sia economicamente, attraverso un lavoro sicuro, dignitoso e pagato giustamente; sia socialmente, attraverso la consapevolezza che la sua attività apporta beneficio all’intero meccanismo collettivo.

Dostoevskij, in “Memorie dalla casa dei morti”, descriveva la peggiore declinazione del lavoro, evidenziando come “se si volesse schiacciare del tutto un uomo, annientarlo, punirlo con il castigo più terribile basterebbe soltanto conferire al lavoro un carattere di autentica, totale inutilità e assurdità”. Ecco, la nostra società deve prendere le maggiori distanze, moralmente e strutturalmente, da una simile declinazione: fornendo al lavoratore la possibilità di un’occupazione e, parallelamente, rendendolo edotto dell’utilità del suo ruolo; di modo da non trasformare il lavoro in qualcosa di accessorio nella vita dei singoli ma da riportarlo alla base dei nostri valori fondamentali.

In conclusione, l’auspicio di questo Primo Maggio è quello di riappropriarci della cultura del lavoro, al fine di sviluppare la piena occupazione e la contestuale consapevolezza dell’essenzialità di lavoratori e imprese nel tessuto sociale ed economico italiano.

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Il lavoratore deve essere incentivato sia economicamente, attraverso un lavoro sicuro, dignitoso e pagato giustamente; sia socialmente, attraverso la consapevolezza che la sua attività apporta beneficio all’intero meccanismo collettivo. Il commento dell’avvocato Gabriele Fava

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