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Un risultato, sebbene parziale, c’è. Giorgia Meloni torna da Bruxelles, teatro della due giorni del Consiglio europeo che doveva decidere, tra le altre cose, sull’ammorbidimento delle restrizioni agli aiuti di Stato per l’industria, e sulle prime, vere, fondamenta del Green deal NetZero, che altro non è che la risposta comunitaria al maxi-piano di sussidi americano. Certo, il cannoneggiare tra Francia e Italia sia per il viaggio in solitaria di Parigi e Berlino a Washington rimane sullo sfondo, così come le frizioni tra Meloni ed Emmanuel Macron per la gestione dei rapporti con l’Ucraina e il suo presidente, Volodymyr Zelensky.

Eppure, l’Italia porta a casa l’impegno concreto dell’Ue a mettere in campo, non se ne parlerà prima di marzo, un piano di aiuti alle imprese che impedisca un’emorragia di cervelli e stabilimenti. Anche se, rovescio della medaglia, sulla costituzione di un fondo comune che garantisca uguali risorse alle aziende per tutti i Paesi membri, senza corsie preferenziali per i governi con debiti pubblici più bassi, c’è ancora da lavorare. Scorrendo il documento redatto al termine dei lavori, sembra quasi di scorgere un’intesa di massima sull’agenda economica.

“I leader degli Stati membri europei hanno indicato alla Commissione europea, sulla base della comunicazione del piano industriale per il Green deal, che è necessario portare avanti con urgenza alcuni filoni d’azione. In primo luogo, la politica degli aiuti di Stato”. E dunque, “le procedure devono essere rese più semplici, più rapide e più prevedibili, e devono consentire di fornire rapidamente un sostegno mirato, temporaneo e proporzionato, anche attraverso i crediti d’imposta, nei settori strategici per la transizione verde e che subiscono l’impatto negativo dei sussidi esteri o degli alti prezzi dell’energia”. Tradotto, una semplificazione dei vari iter per il sostegno pubblico alle imprese europee.

Ma si sa, il diavolo si nasconde tra i dettagli. E allora, sul come concedere gli aiuti, ecco che diventa tutto improvvisamente vago. “Anche l’integrità e la parità di condizioni nel mercato unico devono essere mantenute. Per facilitare la transizione verde in tutta l’Unione ed evitare la frammentazione del mercato unico, una risposta politica dell’Ue pienamente efficace richiede un accesso equo ai mezzi finanziari”, si legge nelle carte di Bruxelles. “A tal fine, i fondi Ue esistenti dovrebbero essere impiegati in modo più flessibile e dovrebbero essere esplorate opzioni per facilitare l’accesso ai finanziamenti”.

Del fondo, tanto invocato dall’Italia, quanto temuto dai Paesi frugali che non se la sentono di condividere il proprio debito con quello tricolore, solo poche righe. “Il Consiglio europeo prende atto dell’intenzione della Commissione di proporre un fondo europeo per la sovranità prima dell’estate 2023 per sostenere gli investimenti nei settori strategici”. Ma il premier Meloni, su quest’ultimo punto, ostenta ottimismo. “Abbiamo chiesto che la Commissione faccia una proposta su un fondo sovrano europeo, un fondo dedicato alla sovranità strategica europea. Siamo consapevoli che richiede del tempo e noi non abbiamo tempo. Ci siamo interrogati su come creare uno spazio fiscale e siamo riusciti ad ottenerlo nelle conclusioni di questo Consiglio”.

E ancora, “la discussione sulla competitività delle nostre industrie è nata già dal precedente Consiglio. L’Italia ritiene che le crisi che abbiamo fronteggiato in questi anni necessitino di una discussione strategica sulle priorità che il continente europeo deve darsi per recuperare una propria sovranità. La vicenda ucraina con i problemi legati all’energia, ma ancora prima la crisi pandemica, ci hanno insegnato che l’Ue debba porsi il problema delle catene di approvvigionamento strategico. Penso sia un tema molto importante”. E quindi avverte: “Se non si controllano le catene di approvvigionamento strategiche si rimane in balia degli eventi”.

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