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Il primo febbraio l’Open Market Committee della Federal Reserve ha deciso (mi si perdoni l’ossimoro) di cominciare a rallentare l’aumento dei tassi d’interesse: li ha alzati sui Fed fund rates di 25 punti base, portandoli nella forchetta 4,5-4,75%, il tutto secondo il consensus degli operatori che dava questo rialzo con una probabilità vicina al 100%. Il giorno dopo hanno parlato, con i tassi, sia la Bank of England (Boe) sia la Banca centrale europea (Bce), proseguendo ambedue nella corsa al rialzo.

La Boe li ha portati – nel rispetto delle attese – dal 3,5 al 4%: livello record da 14 anni a questa parte; si tratta del decimo aumento consecutivo degli ultimi mesi, deciso dal Monetary Policy Committee dell’istituto d’emissione di Londra con un voto a maggioranza. Secco il comunicato della Bce, diffuso più tardi del solito, segno di una discussione lunga nella riunione del massimo organo dell’istituto. Afferma, senza mezzi termini, che “il Consiglio direttivo continuerà ad aumentare i tassi di interesse in misura significativa a un ritmo costante e a mantenerli su livelli sufficientemente restrittivi da assicurare un ritorno tempestivo dell’inflazione al suo obiettivo del 2% nel medio termine”.

Il Consiglio ha deciso di innalzare di 50 punti base i tre tassi di interesse di riferimento e prevede ulteriori incrementi. Alla luce delle spinte inflazionistiche di fondo, esso intende innalzare i tassi di interesse di altri 50 punti base nella prossima riunione di politica monetaria a marzo, per poi valutare la successiva evoluzione. L’obiettivo primario – sottolinea il comunicato- è fare diminuire nel corso del tempo l’inflazione frenando la domanda e mettere inoltre al riparo dal rischio di un persistente incremento delle aspettative di inflazione. “In ogni caso, – sottolinea il documento- anche in futuro le decisioni del Consiglio direttivo sui tassi di riferimento saranno guidate dai dati e rifletteranno un approccio in base al quale tali decisioni vengono definite di volta in volta a ogni riunione”.

Si lascia un piccolo spiraglio a Paesi, fortemente indebitati, come l’Italia. Sono state decise le modalità di riduzione delle consistenze dei titoli detenuti dall’Eurosistema nel quadro del Programma di acquisto di attività (Paa). Il ritmo di tale riduzione sarà pari in media a 15 miliardi di euro al mese dall’inizio di marzo alla fine di giugno 2023 e verrà poi determinato nel corso del tempo. I reinvestimenti parziali saranno condotti sostanzialmente in linea con la prassi attuale.

In particolare, i restanti reinvestimenti verranno distribuiti in proporzione alla quota di rimborsi nelle singole componenti del Paa e, nel quadro del Programma di acquisto per il settore pubblico (Public sector purchase programme, Pspp), in proporzione alla quota di rimborsi per ogni Paese e per i vari emittenti nazionali e sovranazionali. Non manca un sorriso alla transizione ecologica; nell’ambito degli acquisti di obbligazioni societarie da parte dell’Eurosistema, i restanti reinvestimenti saranno orientati maggiormente verso emittenti con risultati migliori dal punto di vista climatico.

Un rialzo di 50 punti base da parte della Bce era stato ampiamente anticipato. La vera domanda, quindi, non è “se” ma “quanto” durerà questo periodo di rialzi di 50 punti base. È probabile che la Bce prosegua con una politica monetaria restrittiva, considerando che l’economia europea ha sorpreso al rialzo e che le aspettative sul limite massimo dei tassi di interesse in questo ciclo di inasprimento si sono ridotte, così come quelle relative a sorprese al ribasso sui prezzi del gas. L’attenzione potrà spostarsi anche sui dettagli del programma di Quantitative Tightening: la Bce ha annunciato un ritmo di Tightening pari a 15 miliardi di euro al mese, ma non ha ancora dichiarato come questo influirà sui diversi segmenti del mercato obbligazionario e sui diversi emittenti.

Questo non è che un aspetto del nodo centrale: come operano gli aumenti (e la loro riduzione del ritmo di ascesa) in mercati finanziari che appaiono sempre più frammentati. Il buon funzionamento dei mercati finanziari è essenziale per una conduzione efficace della politica monetaria. Il 2022 ha visto un inasprimento globale della politica monetaria senza precedenti. Parallelamente, lo stress è emerso in molti segmenti dei mercati finanziari, che vanno da strumenti altamente rischiosi (valute criptate) a presunti “asset sicuri” (quali i Gilt britannici). Sullo sfondo delle oscillazioni del mercato globale, è emersa una serie di preoccupazioni per le banche centrali in Europa e Nord America.

In primo luogo, le banche centrale dovrebbero, insieme, costruire, e monitorare, una mappa delle fragilità del mercato per individuare, terminata la “caccia al rendimento”: quali mercati sono più vulnerabili al Quantitative Tightening e quali sono le implicazioni sistemiche. Ci si dovrà anche chiedere se il trading di criptovalute scomparirà e se ci mancherà) e quali settori soffrono di leva finanziaria nascosta e rischio d’illiquidità.

A questi interrogativi più specificatamente “tecnici” si aggiungono quelli più spiccatamente “politici”, ossia come estinguere il virus dell’inflazione preservando la stabilità finanziaria, come garantire che le istituzioni non bancarie non minaccino il funzionamento del mercato, se le banche centrali debbano diventare “prestatori di ultima istanza” permanenti. E simili. Un lavoro congiunto delle maggiori banche centrali potrebbe essere utile a rispondere a questi nodi ed a ridurre la frammentazione del mercato.

Aumento dei tassi in mercati frammentati. L'analisi di Pennisi

La vera domanda non è se ma quanto durerà questo periodo di rialzi di 50 punti base. È probabile che la Bce prosegua con una politica monetaria restrittiva, considerando che l’economia europea ha sorpreso al rialzo. Il commento di Giuseppe Pennisi

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