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Le dichiarazioni di Emmanuel Macron sull’apertura alla possibilità di schierare armi nucleari francesi in territorio europeo segnano una svolta storica nella dottrina nucleare di Parigi. Durante l’intervista televisiva su TF1, il presidente francese ha confermato di essere “pronto ad aprire” discussioni sul dispiegamento di aerei francesi armati di testate nucleari in altri Paesi europei, menzionando esplicitamente Polonia e Germania come possibili partner.

Questa apertura arriva immediatamente dopo la firma del Trattato di Nancy con Donald Tusk, un accordo che include una clausola di difesa reciproca e apre alla cooperazione in materia di deterrenza nucleare. Il presidente francese ha posto tre condizioni fondamentali: la Francia non pagherà per la sicurezza altrui, il dispiegamento non dovrà intaccare le capacità difensive nazionali e la decisione finale sull’uso delle armi rimarrà esclusivamente nelle mani del presidente francese.

Si tratta di un cambio di paradigma per la Force de Frappe, tradizionalmente mantenuta come strumento puramente nazionale, fuori dalla struttura Nato. Come ho evidenziato spesso in precedenti articoli, fino ad oggi “l’unico Paese europeo dotato di una propria forza nucleare è la Francia, che possiede la Force de Frappe solo per scopi nazionali e che non è a disposizione neanche della Nato”.

Le reazioni internazionali sono state immediate. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha manifestato interesse per estendere la deterrenza nucleare francese alla Germania, pur sottolineando che ciò non sostituirebbe la garanzia americana. Anche Polonia, Danimarca e Lituania si sono dette aperte a tale possibilità. Tusk ha confermato che Varsavia sta “parlando seriamente” con la Francia sulla protezione nucleare.

La proposta francese presenta differenze sostanziali rispetto al modello americano di condivisione nucleare. Mentre gli Stati Uniti basano la loro presenza su bombe nucleari utilizzabili da aerei dei Paesi ospitanti, Macron propone il dispiegamento di aerei francesi già armati, mantenendo un controllo più diretto sull’arsenale. Questa distinzione non è solo tecnica, ma riflette l’approccio francese alla sovranità nucleare.

L’Italia si trova ora di fronte a scelte strategiche cruciali. Il Paese possiede notevoli capacità nell’industria della difesa e tecnologie avanzate che potrebbero risultare complementari all’arsenale francese. Roma potrebbe valutare un modello di cooperazione che sfrutti le proprie competenze industriali e tecnologiche, contribuendo con sistemi di supporto, infrastrutture e capacità di lancio. Tale approccio permetterebbe all’Italia di mantenere la sua tradizionale posizione di equilibrio tra fedeltà atlantica e aspirazioni di autonomia europea, valorizzando al contempo il proprio ruolo strategico nel Mediterraneo.

L’apertura di Macron appare guidata da considerazioni sia strategiche che economiche. Il mantenimento della Force de Frappe comporta costi crescenti – 50 miliardi di euro previsti nei prossimi otto anni – che Parigi potrebbe voler condividere. Al contempo, la Francia si posiziona come leader naturale della difesa europea, in un momento in cui l’incertezza sul futuro impegno americano rende urgente lo sviluppo di capacità autonome.

Questa evoluzione solleva questioni fondamentali sulla sovranità europea. Se da un lato offre una risposta concreta alle esigenze di difesa continentale, dall’altro pone gli alleati in una posizione di dipendenza dalle decisioni di Parigi. Come evidenziato dalle analisi strategiche, molti paesi europei potrebbero essere riluttanti ad accettare una “subordinazione” a Francia e Regno Unito, preferendo storicamente la protezione americana.

In questo contesto, acquista particolare rilevanza la posizione del Regno Unito che, nonostante la Brexit, si sta progressivamente riavvicinando all’Europa continentale su questioni di sicurezza. Il primo ministro britannico Keir Starmer potrebbe cogliere l’opportunità per offrire una propria versione di “ombrello nucleare europeo”, complementare a quello francese. Tale mossa permetterebbe a Londra di riguadagnare influenza continentale pur rimanendo fuori dall’Ue, offrendo ai partner europei un’alternativa o un complemento alla proposta francese.

Un’offerta britannica di protezione nucleare europea avrebbe caratteristiche distintive rispetto al modello Nato. Mentre l’Alleanza Atlantica prevede meccanismi consolidati di nuclear sharing, un accordo anglo-europeo potrebbe configurarsi come un’intesa più flessibile, basata su garanzie bilaterali o multilaterali. La deterrenza britannica, pur legata agli Stati Uniti per aspetti tecnici del sistema Trident, mantiene una sua autonomia decisionale che potrebbe risultare attraente per i partner europei.

L’eventuale convergenza franco-britannica sulla deterrenza nucleare europea creerebbe un sistema duale che ridurrebbe le preoccupazioni sulla dipendenza da un singolo paese. Gli alleati europei potrebbero beneficiare di una doppia garanzia, distribuendo il rischio politico e aumentando la credibilità complessiva della deterrenza. Germania, Italia e Polonia potrebbero trovare in questo schema bipolare maggiori spazi di manovra diplomatica e negoziale.

Per Londra, questa strategia rappresenterebbe un ritorno da protagonista nel teatro europeo, utilizzando l’asset nucleare come leva per mantenere rilevanza geopolitica post-Brexit. La cooperazione nucleare potrebbe fungere da ponte per una più ampia collaborazione in materia di difesa, compensando parzialmente l’esclusione dai meccanismi decisionali dell’Ue.

Il dibattito sulla deterrenza nucleare europea è destinato a intensificarsi. Le dichiarazioni di Macron, combinate con il nuovo attivismo tedesco e l’interesse polacco, stanno delineando i contorni di una possibile architettura di sicurezza continentale. Per l’Italia, il momento richiede scelte lungimiranti che bilancino le esigenze di sicurezza con il mantenimento di un ruolo strategico nel nuovo ordine europeo.

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