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La sopravvivenza del trattato sulla riduzione e controllo degli armamenti strategici Start, firmato da Washington e Mosca nel 1991 e rinnovato più volte, è sempre più a rischio.

Lo scorso 24 febbraio, giorno in cui ricorreva l’anniversario dell’intervento militare in Ucraina, il presidente Vladimir Putin annunciava la sospensione dell’accordo per parte russa. L’aver voluto sottolineare che si trattava di una sospensione e non di un ritiro, sembrava voler dare all’iniziativa un valore più simbolico e di facciata, soprattutto per il morale sul fronte interno, lasciando intendere che il Cremlino avrebbe comunque rispettato le disposizioni dell’intesa. Una nota del ministero degli Esteri confermava questo assunto, tutto sommato ottimistico.

Sennonché, questa settimana, sono trapelate alcune notizie che hanno messo in luce l’effettiva postura diplomatica e giuridica del Cremlino sul rispetto dell’accordo. Nel corso dell’audizione alla sottocommissione Forze strategiche del 28 marzo, l’assistente segretario alla Difesa americano per le politiche spaziali, John Plumb, ha comunicato ai presenti che la Russia aveva interrotto il flusso di comunicazioni e notifiche giornaliere previste dall’intesa.

Lo Start, infatti, non si limita a fissare limiti numerici per la detenzione e schieramento degli armamenti strategici (missili intercontinentali, terrestri e navali; bombardieri e sommergibili da attacco nucleare; testate atomiche di potenziale superiore a quello tattico), ma comprende precisi meccanismi di verifica e controllo di adempimento. Tra questi, si ricordano: ispezioni a basi e siti dove sono posizionati gli armamenti (18 sopralluoghi l’anno per parte); invio di report dettagliati su vettori e testate (ogni 6 mesi); notifica di qualsiasi aggiornamento sul numero e caratteristiche tecniche dei dispostivi strategici e sulle strutture dove sono schierati (frequenza giornaliera).

L’importanza delle clausole di controllo deriva dalla capacità di garantire concretezza, rispetto e, quindi, tenuta dell’accordo. Nel momento in cui, uno o più strumenti di accertamento venissero a mancare, le garanzie di sicurezza a fondamento dell’intesa vacillerebbero, o cadrebbero del tutto.

Per quel che riguarda le ispezioni sui siti, esse sono state sospese, causa pandemia, da marzo 2020: da allora non sono più riprese. A novembre era in programma un meeting al Cairo, secondo il format previsto dal trattato (Bilateral Consultative Commission), ma è stato annullato pochi giorni prima della data dell’incontro.

Ispezioni a parte, anche le ultime due modalità di controllo sono ormai decadute. Nel corso dell’audizione alla sottocommissione Forze strategiche, infatti, l’assistente segretario della Difesa ha annunciato che i russi, a seguito di colloqui diplomatici intercorsi il giorno prima, hanno dichiarato di non voler trasmettere neppure il report semestrale con i dettagli numerici e tecnico-operativi di vettori e testate. In sostanza, da parte russa, viene a mancare qualsiasi forma di accertamento sul rispetto delle clausole del trattato.

A causa di questa postura politico-strategica, col fine dichiarato di riportare i russi al rispetto dell’accordo, gli Stati Uniti hanno deciso di non trasmettere il report semestrale di loro competenza, il cui invio era previsto entro la fine del mese di marzo. Per ora, la Casa Bianca sembrerebbe orientata a non rispettare solo questa scadenza: non è stato specificato, infatti, se questa misura sia definitiva o provvisoria. Inoltre, le notifiche contenenti aggiornamenti sullo stato di vettori, basi e testate, continueranno ad essere trasmesse quotidianamente al Cremlino.

Washington ha voluto lanciare un segnale a Mosca, dimostrando che gli Stati Uniti non sono disposti a rispettare unilateralmente l’accordo anche perché, col tempo, nulla esclude che possano crearsi pericolosi squilibri strategici, con inevitabili rischi alla difesa e sicurezza dell’area euroatlantica (deterrenza Nato).

La notizia dell’inadempimento russo al trattato Start cade in un momento di rinnovata escalation nucleare in Europa, dovuta al trasferimento, previsto per luglio, di testate atomiche in Bielorussia. Quest’ultima decisione è stata annunciata pochi giorni dopo la visita del Presidente cinese Xi Jinping a Mosca. Nulla esclude che la nuova postura nucleare russa sia in qualche modo influenzata, o apertamente sostenuta, da Pechino. Ciò vale, soprattutto, per la tenuta del trattato Start.

Tra le due parti dell’accordo, la Federazione Russa è stata quella più propensa al rinnovo (validità estesa sino a febbraio 2026). Lascia pertanto quantomeno perplessi l’atteggiamento del Cremlino degli ultimi mesi: dopo essersi fortemente impegnato per il prolungamento del trattato, esso non rispetta più alcuna clausola di verifica e controllo, decretando di fatto, per parte russa, la sua fine.

La guerra in Ucraina, salvo l’intenzione di barattare il rispetto dell’accordo in trattative per la risoluzione del conflitto, non dovrebbe aver influenzato questo processo: si tratta di uno scontro che riguarda un Paese e un continente, l’Europa, sul quale difficilmente potrebbero essere impiegati gli armamenti regolamentati dallo Start.

Potrebbe essere più plausibile, invece, una spinta cinese: la presenza, sul piano giuridico e morale, di un accordo che garantisce un valido sistema di controllo sugli armamenti strategici, fissando limiti numerici su vettori e testate, potrebbe essere, nel lungo periodo, un problema. Nel pieno del programma di riarmo, infatti, la Repubblica Popolare potrebbe essere, un domani, ufficialmente invitata a farne parte.

Di un’estensione dell’accordo ai cinesi, tra l’altro, si parlò ampiamente in sede di rinnovo del trattato. Questo potrebbe essere il motivo per cui gli americani hanno risposto in maniera misurata alle inosservanze russe: mantenere un approccio diplomatico per ottenere garanzie di sicurezza dai russi oggi, ma anche (e, forse, soprattutto) per richiederle ai cinesi domani.

Il trattato Start, simbolo e ultimo pilastro rimasto in piedi del processo di disarmo e controllo degli armamenti della Guerra Fredda, è appeso al filo degli aggiornamenti quotidiani trasmessi dagli americani ai russi. Il suo futuro potrebbe essere deciso dal confronto tra diplomazia a breve termine (sempre più americana e sempre meno russa), da una parte, ed esigenze di sicurezza euroatlantica di lungo termine, dall’altra. Se prevarrà la prima, il trattato sarà salvo; in caso contrario, non perderanno solo Washington e Bruxelles, ma la stessa Mosca. E a festeggiare vittoria sarà solo Pechino.

Trattato Start, ombre cinesi dietro l’escalation Usa-Russia. Scrive Secci

Di Danilo Secci

L’accordo è appeso al filo degli aggiornamenti quotidiani degli americani. Il futuro potrebbe essere deciso dal confronto tra diplomazia ed esigenze di sicurezza. L’analisi di Danilo Secci, ricercatore associato dell’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici, analista specializzato in questioni di difesa e sicurezza

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