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“Riesco a malapena a immaginare progressi in quell’incontro. Sono quasi certo che Kurti non formerà l’Associazione dei comuni serbi. Kurti è incoraggiato a continuare a ignorare gli impegni precedenti”. Le parole del presidente serbo Aleksandar Vucic rappresentano un macigno sulla strada di un accordo definitivo sulla normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo, dopo il via libera generale al piano di pace sostenuto fortemente dagli Usa.

Secondo il cronoprogramma europeo la prossima settimana si terrà un vertice decisivo, con i due leader attesi il 18 marzo nella Macedonia del Nord per discutere degli undici punti. Ma l’ultima uscita di Vucic mette tutto nuovamente in discussione, anche perché nel paese sta montando la protesta di piazza. Intanto il Ministro degli esteri Antonio Tajani è stato in Bosnia.

Il piano

Il nodo verte sul fatto che Belgrado reputa il Kosovo una provincia separatista, per questa ragione il piano Ue ha strategicamente previsto il riconoscimento di documenti come passaporti, diplomi e targhe e non un Kosovo indipendente. Di contro, la Serbia è previsto che non blocchi l’adesione del Kosovo a organismi internazionali. L’inviato dell’Ue, Mi3roslav Lajcak, dopo aver incontrato ieri il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, ha detto di sperare di ottenere un documento che sarà concordato il 18 marzo.

Si è detto inoltre ottimista sul fatto che entrambe le parti si accordino: “Lo scopo principale di questa visita è informarmi su come il Kosovo vede la domanda, e questo incontro ha soddisfatto le mie aspettative in questo contesto”. Entrambi i paesi stanno negoziando la normalizzazione delle loro relazioni sulla base di un nuovo piano accettato quattro settimane fa. Berlino intanto ha parlato di una “grande disponibilità” a normalizzare le relazioni tra Serbia e Kosovo, mentre il numero uno della politica estera dell’UE, Josep Borrell, ha dichiarato di aver “convenuto che non sono necessarie ulteriori discussioni”. A Belgrado invece non la pensano allo stesso modo.

Qui Belgrado

Circa trecento studenti hanno protestato a Belgrado contro il piano europeo, avvertendo il governo Vucic che commetterebbe un vero e proprio tradimento se lo accettasse. Si dicono contrari, inoltre, all’idea di formare un’Associazione dei comuni a maggioranza serba in Kosovo, quell’organismo progettato per rappresentare la comunità serba del Kosovo che era stato concordato con Bruxelles nel 2013. Anche alcuni partiti nazionalisti si sono espressi contro il piano, reo a loro dire di essere troppo prono nel dire sì apertamente all’indipendenza dell’ex provincia serba. Una nuova manifestazione è in programma 24 prima del vertice del 18 di Skopje.

Scenari

Mentre da un lato si registra l’ottimismo in seno a Bruxelles verso l’accettazione del piano (e dei suoi delicati allegati di merito), dall’altro la tappa di avvicinamento al vertice della prossima settimana porta in grembo ulteriori tensioni. In primis per la possibile interferenza di players esterni, poco entusiasti di una pacificazione tra etnie che, se rimanessero ancora in tensione, sarebbero maggiormente controllabili.

Il dato politico verte il fatto che cinque Stati membri dell’UE ancora non riconoscono il Kosovo e, conseguentemente, Pristina rimane l’unico stato nei Balcani occidentali che non è ancora un paese ufficialmente candidato all’UE. Per questa ragione la sua domanda di adesione non è stata ancora presa in considerazione. Una contingenza che, se letta in filigrana rispetto al conflitto in Ucraina e alle preoccupazioni “militari” di paesi cuscinetto che chiedono di entrare nella Nato (come Bosnia Erzegovina, Georgia, Ucraina, Svezia e Finlandia), acquisisce ancora maggiore considerazione.

Accordo Serbia-Kosovo, Belgrado rimette tutto in discussione?

In attesa del vertice di Skopje del 18 marzo, spiccano le proteste serbe dei nazionalisti contrari all’accordo, su cui soffia forte l’influenza di player esterni che vedono in una nornalizzazione delle relazioni serbo-kosovare il rafforzamento di Ue e Nato. Il Ministro Tajani oggi in Bosnia

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