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C’è contrasto tra maggioranza e opposizione persino sulla politica estera, che dovrebbe essere invece non divisiva, visto che tutti i partiti rappresentati in Parlamento hanno avuto occasione di stare al governo e non hanno mai deflettuto -Meloni compresa- dalla linea di sostegno all’alleanza atlantica e alla scelta europeista. Così persino sulle ultime performance belliciste israeliane, sproporzionate e fuori dal campo delle azioni accolte dal diritto internazionale, si riesce a trovare ragioni divisive, strumentalità ed anche una certa empatia con Hamas ed Hezbollah che non nasconde neppure quel filino di sentiment antisemita rannicchiato dietro certe parole politicamente corrette.

Il fatto è che la dialettica democratica tra maggioranza ed opposizione, in Italia, fin dall’avvento del maggioritario narrato come miracolistico e poi finito miseramente nella trista sequenza dei sistemi elettorali che finivano con “um”, si è declinata con un’idea di polarizzazione estrema ed antagonistica, dentro cui non esiste il riconoscimento reciproco tra le parti in competizione che le democrazie anglosassoni hanno portato in dono alla politica. Così la presidente del Consiglio non perde occasione, anche quando non ce ne sarebbe bisogno dall’alto del suo scranno istituzionale, di polemizzare aspramente con le opposizioni ricevendo in cambio lo stesso trattamento, in un vortice di delegittimazioni reciproche che avvelenano la politica e le istituzioni.
Il fatto è che la ruvidezza del bipolarismo italiano non trova forze politiche significative d’interposizione per evitare lo scontro.

A ben vedere è una storia che somiglia all’impotenza dell’Europa sulla scena mondiale: una Ue solida, coesa, con un’unica politica estera e di difesa condivise avrebbe, molto probabilmente, potuto dire la sua per impedire il crash delle interminabili guerre dietro casa e invece no: costretta a svolgere ruoli subalterni per il suo “non essere” soggetto politico, non è in grado di svolgere alcuna deterrenza. In versione domestica quel ruolo di deterrenza anti-conflittuale sarebbe perfetto per un “centro”. Se ci fosse.

Il “centro” resta un’evocazione mitologica senza consistenza e questo è il deficit della politica italiana che continua a registrare ad ogni elezione, oltre l’abbandono di metà degli elettori, un 17-18% di voti centristi sparsi a destra e a sinistra, partendo da Forza Italia e finendo alla coppia separata Renzi-Calenda . Ma di quale centro parliamo? Il centro è (era) innanzitutto un insediamento sociale, un’antropologia, una categoria culturale e sociologica che poggia(va) su un’area sociale una volta prevalente nel paese- il ceto medio- oggi ridotta ad una stringa piccola e gonfia di rancore. Una storia che nella vita democratica italiana non è mai stata ancillare, ma di proposta alternativa e “maggioritaria”, che sapeva farsi percepire come tale dal popolo (vedi l’epopea irripetibile della Dc).

Allo stato dell’arte l’alternativa non potrebbe reggere sui fragili omeri dei centristi, ma imporrebbe alleanze programmatiche del centro con altri soggetti politici. Questo può avvenire solo tra due dignità pari che s’incontrano, dove a nessuno può essere assegnato un ruolo subalterno. Perché se così non fosse, se il centro fosse troppo debole, sarebbe l’intera alleanza a perdere. Dunque il tema c’è ed è forte, e chiama dentro profili programmatici, insediamento sociale, classe dirigente e leadership. E tempi ragionevolmente rapidi, perché la politica segue il ritmo veloce dei cambiamenti climatici: non ci sono più le mezze stagioni e quando ti aspetti l’estate è nato l’autunno delle grandi piogge.

Che possibilità ha la ricerca di sapore battiatiano del Centro di gravità permanente? Lo spazio politico ed elettorale ci sarebbe: quel grumo di consensi che tenacemente continua a raccogliere da trent’anni risultati a due cifre come sommatoria del pulviscolo centrista tra i due poli; il ritorno al voto dei disertori delle urne: basterebbero solo i cattolici che non sono più andati a votare, valutati da un sondaggio recente il 50% del totale dei fedeli, per guardare con qualche ottimismo al futuro dell’area, tenendo conto anche del cambio di rotta della Chiesa che con le settimane sociali di Trieste ha invitato i cattolici all’impegno politico; l’estenuazione del corpo elettorale per il confitto permanente tra antagonisti bipolarizzati; l’equilibrio necessario tra solidarietà e libertà in un paese che sembra dimentico di entrambi i valori; la presenza in Europa di forze centriste che esercitano ruoli di governo. Certo qualche seduta dallo psicanalista non guasterebbe come esercizio di buona volontà per i leader, magari immaginando politiche e personalità-butto lì solo per fare un esempio concreto, Mario Draghi, a riferimento per tutti. Insomma si potrebbe provare e per l’Italia sarebbe una cosa buona e giusta.

Quanto reggerà lo scontro tra destra e sinistra? Le ragioni del centro che non c’è

La ruvidezza del bipolarismo italiano non trova forze politiche significative d’interposizione per evitare lo scontro. Lo spazio politico ed elettorale ci sarebbe: quel grumo di consensi che tenacemente continua a raccogliere da trent’anni risultati a due cifre come sommatoria del pulviscolo centrista tra i due poli. Il commento di Pino Pisicchio

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