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Pechino ha intensificato la sua “anaconda strategy” per soffocare Taiwan. Il comandante della marina taiwanese, l’ammiraglio Tang Hua, ha utilizzato questa potente metafora per descrivere l’approccio della Cina: una stretta costante che mira a soffocare Taipei, non solo attraverso una crescente presenza militare nelle acque e nei cieli circostanti, ma anche tramite pressioni diplomatiche e tentativi di isolamento sul piano internazionale.

L’ufficiale ne ha parlato in un’intervista all’Economist pochi giorni fa ed è sempre questo il senso delle parole con cui il presidente William Lai ha descritto la situazione e raccontato il suo impegno politico durante il discorso celebrativo per la festa nazionale taiwanese, giovedì 10 ottobre.

Tang ha chiaramente descritto come il Pla (People’s Liberation Army) stia aumentando le sue incursioni militari. I numeri sono eloquenti. Da gennaio ad agosto di quest’anno, le incursioni aeree cinesi attraverso la linea mediana dello Stretto di Taiwan sono quintuplicate rispetto al 2023, passando da 36 a 193. Allo stesso tempo, le navi da guerra del Pla operanti attorno all’isola sono raddoppiate, passando da 142 a 282, spingendosi fino a 24 miglia nautiche dalle coste taiwanesi. Questo è un chiaro segnale della volontà di Pechino di esercitare una pressione crescente sull’isola, non solo per scoraggiare l’indipendenza formale, ma anche per sfiancare militarmente Taiwan, che deve spesso impegnare fino al 50% delle sue risorse navali per controllare le incursioni cinesi.

L’obiettivo è ben noto: creare pressione psicologica, spostare costantemente l’asticella dello status quo (nel caso, normalizzare, per assiduità e continuità certe esercitazioni oltre i confini consentiti), rendere l’eventuale procedura di annessione forzata quasi una conseguenza, attesa e dunque meno scioccante (anche a livello culturale) sia per i taiwanesi che per i cinesi, ma anche per la comunità internazionale.

E sta qui l’altro pezzo dell’anaconda strategy, che come detto non è soltanto militare. La Cina sta da tempo cercando di strangolare Taiwan anche sul piano diplomatico, impedendo all’isola di partecipare pienamente alle attività della Comunità internazionale e riducendo il numero di Paesi che intrattengono relazioni ufficiali con Taipei. Questo aspetto della strategia cinese è emerso con forza nelle recenti parole del presidente Lai.

Lai ha usato la celebrazione della festa nazionale – e dunque l’attenzione che i cittadini riserva al messaggio del Capo dello Stato – per affermare chiaramente che la Cina non ha il diritto di rappresentare Taiwan. È una dichiarazione con pochi precedenti. Questo concetto, che Lai aveva già ribadito nel suo discorso inaugurale a maggio, tocca uno degli obiettivi fondamentali della sua presidenza: rafforzare la rappresentanza internazionale di Taiwan e consolidare la sua presenza all’interno delle organizzazioni internazionali.

Lai sa bene che è difficile per molti Paesi fornire un riconoscimento formale a Taiwan a causa delle pressioni della Cina, che sposta costantemente anche lo status quo della “One China Policy” verso il cosiddetto “One China Principle”. In una semplificazione rapida: la prima è la posizione diplomatica adottata da molti Paesi, secondo cui viene ammessa l’esistenza di una sola Cina, ma senza specificazione se sia la Repubblica Popolare Cinese o la Repubblica di Cina (Taiwan), mentre il “One China Principle” è la posizione ufficiale di Pechino, che afferma che esiste solo una Cina e che Taiwan ne fa parte sotto il governo della Repubblica Popolare Cinese. Nella seconda non c’è spazio per l’ambiguità diplomatico-giuridica con cui molti Paesi intrattengono rapporti di vario genere con Taipei – pur non riconoscendola come entità statuale indipendente.

Si sta facendo sempre più largo, a Taipei e non solo, l’idea di chi ritiene che più Taiwan sarà integrata nella Comunità internazionale, più sarà difficile per Pechino portare avanti la sua articolata strategia di isolamento. Su Formiche.net era stato anche l’ambasciatore taiwanese in Italia, Vincent Tsai, a parlarne recentemente. In questo contesto, la frase di Lai secondo cui “la Repubblica di Cina e la Repubblica Popolare Cinese non sono subordinate l’una all’altra” assume un valore simbolico ma anche strategico, segnalando che Taiwan continuerà a resistere alle pressioni di Pechino.

Non servirebbe nemmeno aggiungere che questa dichiarazione ha creato molto rumore e una dura reazione cinese. L’Ufficio per gli affari di Taiwan di Pechino ha accusato Lai di minare la pace e la stabilità nello Stretto, insistendo sul fatto che la Cina è la madrepatria di tutti i cinesi e che la questione non riguarda i sistemi politici, ma una lotta tra unificazione e divisione. Pechino ha ribadito la sua posizione, sostenendo che Taiwan è parte del territorio della Repubblica popolare cinese e che ogni tentativo di resistere a questa realtà è destinato a fallire.

Dopo queste dichiarazioni forti, il passo successivo sono nuove esercitazioni militari, ossia l’anaconda che stringe i muscoli e la morsa. Per ora, 27 aerei cinesi sono stati inviati a pattugliare le acque circostanti Taiwan prima e durante il discorso del 10 ottobre, ma è prevedibile che manovre più strutturate seguano a breve.

Queste tensioni si inseriscono in un contesto più ampio di deterioramento delle relazioni tra Cina e  l’Occidente, non da meno l’Unione Europea, da vedere la scelta durissima sui dazi per i veicoli elettrici cinesi in ingresso nell’Ue, anche queste probabilmente in attesa di una risposta severa e strutturata della Cina. Ed è in questo quadro che la visita dell’ex presidente taiwanese Tsai Ing-wen in Europa, diventa un elemento di ulteriore tensione.

Tsai, che ha guidato Taiwan nel periodo di forte rafforzamento dei legami con l’Occidente che ha preceduto la presidenza Lai (suo ex vice), incontra a Bruxelles parlamentari europei per rafforzare la cooperazione con i Paesi dell’Ue, dopo aver coordinato la visita con Lai stesso – e aver condiviso la foto della loro riunione sui social network.

La missione diplomatica, la prima di un ex leader taiwanese nella capitale dell’Ue, rappresenta un ulteriore passo per consolidare questi legami con l’Europa e deteriorare quelli del blocco con Pechino. Tuttavia si lega al crescente interesse europeo verso la questione taiwanese. Il recente investimento della Tsmc in una fabbrica di semiconduttori in Germania, così come l’impegno di Paesi europei come la Lituania a favore di relazioni diplomatiche più strette con Taiwan, nonché le attività per la libera navigazioni lungo lo Stretto, segnano una tendenza positiva per Taipei.

Aspetti su cui la Cina continua a reagire con fermezza perché detesta ogni tentativo di avvicinamento tra Taiwan e l’Europa, come dimostrano le pressioni esercitate su Praga. Pechino ha chiesto alla Repubblica Ceca “di non fornire agevolazioni per le forze separatiste ‘indipendenza di Taiwan’ in nessuna forma”. La Cina quando si riferisce a politici come Tsai o Lai parla di “indipendenza”, perché sa che quella è la buzzword che innesca il superamento di una linea rossa inammissibile se si vogliono mantenere relazioni con la Repubblica popolare.

(Foto: account X, Tsai Ing-wen @iingwen)

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