Skip to main content

Diplomaticamente parlando, c’erano pochi dubbi su quali posizioni avrebbe assunto Pechino rispetto alla recente crisi deflagrata in Iran. Dopo aver condannato l’attacco statunitense all’Iran nelle ore immediatamente successive alla sua conduzione, Zhongnanhai ha ribadito la sua linea in occasione di un meeting dei ministri della Difesa della Shangai Cooperation Organisation (organizzazione multilaterale che dal 2023 annovera anche l’Iran tra i suoi membri) tenutosi a Qingdao tra mercoledì 26 e giovedì 27 giugno.

I ministri riuniti in questo contesto sono stati invitati a visitare la nave “Kaifeng”, un cacciatorpediniere classe  Type 052D “Luyang-III”, accolti dal plenipotenziario della difesa cinese Dong Jun. Al termine del tour, gli ospiti hanno poi preso parte a un ricevimento organizzato sul ponte del vascello; tra questi vi era anche il ministro della Difesa iraniano Aziz Nasirzadeh, accompagnato da altri esponenti dell’establishement della difesa persiana, il quale ha colto l’occasione per ringraziare Pechino di aver “sostenuto la legittima posizione dell’Iran dopo i recenti attacchi” di Israele e degli Stati Uniti. “Speriamo che la Cina continui a sostenere la giustizia, a contribuire al mantenimento dell’attuale cessate il fuoco e a svolgere un ruolo maggiore nell’attenuare le tensioni regionali”, ha dichiarato Nasirzadeh. Anche Dong ha rilasciato una dichiarazione, affermando che “l’unilateralismo, il protezionismo e gli atti di egemonia e prepotenza stanno aumentando, sconvolgendo gravemente l’ordine internazionale e diventando la principale fonte di caos e conflitti”. Ad ulteriore conferma di come la Repubblica Popolare stia cercando di sfruttare la recente escalation militare che ha coinvolto Washington per propugnare la sua narrazione “multipolare”.

Ma la crisi iraniana è anche una preziosa lezione per la dirigenza cinese, e riguarda l’importanza di capacità militari avanzate. Oltre a dimostrare la volontà di dissuasione attiva da parte di Washington, l’attacco ai siti nucleari ha avuto un significato tecnico non trascurabile affatto per Pechino, sottolineando il ruolo cruciale dei bombardieri strategici.

Sono proprio gli analisti militari cinesi a sottolineare che i bombardieri strategici restano “insostituibili” per qualunque potenza che ambisca a un raggio d’azione intercontinentale e a una capacità credibile di deterrenza nucleare. Ma le forze armate cinesi non dispongono ancora di simili capacità. La Cina ha iniziato a colmare questo gap con il programma H-20, il primo bombardiere stealth a lungo raggio interamente sviluppato in patria, che secondo alcune fonti sarebbe ormai prossimo alla presentazione ufficiale. Questo velivolo rappresenterebbe un netto salto in avanti rispetto alle versioni modernizzate dell’H-6 di derivazione sovietica, estendendone il raggio fino a 8.000 km e dotandola di capacità nucleari e di attacco a lunga gittata.

Secondo Song Zhongping, analista militare ed ex istruttore della People’s Liberation Army, “un bombardiere strategico dedicato è insostituibile, anche in un’epoca in cui esistono altre opzioni di attacco a lungo raggio. Un bombardiere strategico può effettuare attacchi sia nucleari che convenzionali. È un’arma vitale per qualsiasi grande potenza militare, che non può essere sacrificata per un’altra”.

Il confronto resta impari anche sotto il profilo numerico. Washington e Mosca (nonostante le perdite riportate nel contesto dell’operazione “Spiderweb”) possono contare su una flotta di circa 100 bombardieri strategici ciascuna, che costituiscono un pilastro della loro dottrina nucleare e della capacità di global strike. Un quantitativo di velivoli decisamente superiore a quelli presenti nell’arsenale della Pla.

Probabilmente la dirigenza cinese non intende investire nella produzione di nuovi bombardieri strategici di vecchia generazione prima di aver approntato l’iper-tecnologico H-20 (considerato da alcuni superiore anche al B-21, il bombardiere che gli Usa stanno sviluppando per rimpiazzare il B-2) o altre alternative uncrewed verso le quali la Cina ha mostrato di avere un forte interesse. Ma fino ad allora, questa specifica inferiorità continuerà a pesare nella bilancia dell’equilibrio di potenza internazionale, specialmente con il rivale statunitense.

In definitiva, la crisi iraniana ha rappresentato per Pechino sia una piattaforma diplomatica per riaffermare la sua narrativa anti-egemonica, sia una sveglia strategica sulla sua capacità di power projection. Due sentieri molto più intrecciati di quanto possa sembrare a prima vista.

L’attacco agli impianti nucleari iraniani scuote Pechino. Ecco perché

Dall’appoggio politico all’Iran al ritardo tecnologico nei bombardieri strategici, la crisi mediorientale si trasforma per Pechino in un’occasione di confronto con Washington, sia sul piano diplomatico che su quello militare

Un'alternativa a OpenAI per influenzare il mondo. Ecco come la Cina si muove in Asia e Africa

Zhipu AI sta portando avanti una serie di iniziative per aumentare la presenza del Dragone nel mondo, ma secondo la start-up di Sam Altman lo starebbe facendo in modo aggressivo. L’ennesima sfida della corsa all’IA tra Usa e Cina

Il capo rompe il silenzio. Così il Mossad rivendica il successo contro l’Iran

Per la prima volta, Barnea interviene pubblicamente sull’operazione condotta in Iran. Con parole dure e toni strategici, rivendica i risultati ottenuti grazie a infiltrazioni, droni e intelligence. Focus ora sulla prevenzione e sulla pressione diplomatica nella regione

Dove non arrivò Mao, potrebbe arrivare il papa. Il complesso rapporto tra Cina e Chiesa Cattolica

Nel cuore della diplomazia vaticana, il rapporto con la Cina rappresenta una delle sfide più complesse e ambiziose. Tra autorità spirituale e sovranità politica, Roma e Pechino si confrontano da decenni cercando un equilibrio fragile ma strategico

Riforme e minacce. Ecco il nuovo volto dell’intelligence canadese

Nella relazione 2024, il Csis accusa Cina, India, Russia, Iran e Pakistan di minacciare la sicurezza del Paese attraverso interferenze politiche, spionaggio e repressione transnazionale. Ottawa risponde con il Bill C‑70, una riforma legislativa che modernizza gli strumenti dell’intelligence. Ma le tensioni geopolitiche si riflettono anche sulla politica interna, con allarmi lanciati prima delle elezioni federali dello scorso aprile

Il summit Nato ci dimostra che la sicurezza è vera solo se collettiva. Scrive Margelletti

Per la prima volta dalla fine della Guerra Fredda, l’Europa prende coscienza della propria vulnerabilità strategica in un contesto internazionale sempre più instabile. Il recente summit ha segnato una svolta storica, con l’obiettivo politico di portare al 5% del Pil le spese per la difesa entro il 2035. Un segnale non solo economico, ma culturale. La Nato non è un soggetto esterno, ma un’alleanza di corresponsabilità strategica. Ignorare questo dato oggi significa alimentare le vulnerabilità che Mosca è pronta a sfruttare. Il commento di Andrea Margelletti, presidente del CeSI

Investimenti privati in tecnologie duali. Una trasformazione in corso

Di Lucio Bianchi e Alessandro Marrone

La crescita della Space Economy ha aperto la strada all’ingresso del capitale privato nelle tecnologie duali, già realtà negli Usa e in espansione in Europa grazie a iniziative come il Nato Innovation Fund. In Italia il potenziale resta inespresso per limiti strutturali e risorse ridotte. Questi e altri gli argomenti che saranno al centro del convegno promosso dall’Istituto affari internazionali (Iai) e dal Centro Studi Militari Aerospaziali (Cesma) a Roma il 26 giugno presso Palazzo Aeronautica

Pilastro europeo della Nato. La difesa di domani secondo Meloni

Il ragionamento della premier italiana al vertice Nato è tarato sulla realpolitik, sia per evitare doppioni con la difesa Ue, sia per investire in settori che stanno diventando sempre più primari, come il fronte sud, la cooperazione fra alleati in chiave di strategia industriale, l’interlocuzione imprescindibile con gli Usa e il binomio target di spese-autonomia/sovranità. Le parole di Meloni all’Aja

L’aumento del budget e la responsabilità condivisa. Quale Nato dopo il Summit

Nel contesto di una Nato sempre più orientata a una proiezione globale, il recente riorientamento strategico dell’Alleanza si muove su più assi: deterrenza rafforzata, supporto strutturale all’Ucraina, industrializzazione della difesa e ridefinizione del burden sharing con il nuovo obiettivo del 5%. La Germania e la Polonia si profilano come attori chiave del fronte orientale, mentre gli Stati Uniti, pur contenendo il proprio ruolo diretto, puntano a un’Alleanza più bilanciata. Resta aperta la sfida politica del consenso interno e della mobilitazione civile, soprattutto in Europa, per legittimare il salto di qualità dell’Alleanza in una fase di mutamento sistemico. Le riflessioni finali del Nato Public Forum

×

Iscriviti alla newsletter