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C’è un po’ di Mario Draghi nella manovra di Giorgia Meloni? Sì, a dispetto del rimpallo di responsabilità tra vecchio e nuovo governo in merito al raggiungimento degli obiettivi del Pnrr. Se poi il metro di misura sono i mercati (lo spread Btp/Bund nell’ultimo mese non è praticamente mai salito oltre i 200 punti base), allora il paragone è ancora più calzante.

A Stefano Micossi, economista di lungo corso formatosi in Banca d’Italia e che da poco ha lasciato la direzione dell’Assonime, carica che ha ricoperto per ben 23 anni, abbiamo chiesto un parere su una legge di Bilancio preparata in fretta e furia, all’indomani dell’insediamento dell’esecutivo a trazione Fratelli d’Italia. Qualcuno ha accusato la manovra Meloni-Giorgetti di essere timida e dalle scarse pretese. Ma forse la verità è un’altra e cioè che con un deficit 2022 al 5,1% gonfiato da fior di decreti anti-pandemia prima e anti-inflazione poi, e nonostante un Pil che a fine anno si porterà al 3,9%, i soldi erano davvero pochi per fare di meglio. Tanto vale, insomma, stare nei ranghi che abbandonarsi ad alchimie finanziarie capaci di irritare Europa e investitori, più di quanto non sia necessario.

La manovra, ora all’esame del parlamento e sotto il fuoco di centinaia di emendamenti, vale più o meno 35 miliardi e non sembra aver innervosito più di tanto i mercati. Lei come lo spiega?

Il governo ha varato una legge di Bilancio nel segno della stabilità e della continuità con le politiche messe in campo dal precedente governo. Proprio per questo è stata promossa dai mercati, abbiamo mandato un segnale chiaro che l’Italia rispetterà i vincoli. E poi in Europa sapevano bene, fin da prima che si insediasse il governo Meloni, cosa aspettarsi. Dunque erano pronti. Questo non vuol dire che non ci siano aspetti critici che riguardano in particolare alcuni capitoli: contante, flat tax, sanità.

Allora qualcosa che non funziona c’è. Raccontiamocelo…

La misura sul contante, almeno quella ancora in essere, è una misura retrograda che favorisce l’evasione. Mi pare abbastanza chiaro. E la flat tax non mi convince, perché mina la base imponibile dell’Irpef, incoraggiando i lavoratori autonomi a fare di tutto per scendere sotto gli 85 mila euro. Non dovrebbe essere difficile per i lavoratori autonomi dividere le proprie entrate tra varie persone o varie società, in modo da rientrare nel tetto previsto. Insomma potremmo avere effetti negativi per la finanza pubblica più che proporzionali rispetto all’incremento previsto del tetto.

Qualcuno contesta che sul fisco il governo ha sposato la causa delle partite Iva, abbandonando i dipendenti…

Ma è esattamente così. Qualcuno si è messo a fare delle tabelle per spiegare che i dipendenti hanno dei vantaggi sugli autonomi. Ma la verità è che questa manovra dal punto di vista fiscale, fa gli interessi dei professionisti e solo di quelli.

Diceva della sanità, anche…

Ho la sensazione che ci sia una certa ostilità da parte di settori della maggioranza verso il potenziamento della sanità con una diversa presenza sul territorio e sul rafforzamento degli organici. E questo nonostante il nostro sistema sanitario abbia retto alla pandemia.

Considerazione di massima, lei crede davvero che con le risorse a disposizione del governo fosse difficile, se non impossibile, fare una manovra migliore?

Assolutamente, l’esecutivo ha fatto quello che poteva. Ci sono scelte e segnali politici, ma soldi davvero non ce ne erano.

Parliamo della crescita. Quest’anno l’Italia dovrebbe chiudere con un Pil al 3,9%, oltre le attese. Buon auspicio anche per il 2023?

Tutto ruota intorno al problema dell’energia, ma io sono abbastanza ottimista, perché il picco della crisi energetica è passato. E non tornerà.

E la Bce? Dai tassi dipende buona parte della crescita, perché combattere l’inflazione a colpi di politica monetaria può avere un costo in termini di prestiti all’economia reale.

La Bce ha un problema di credibilità da ricostruire. Fino a giugno ha affermato che l’inflazione era temporanea e quindi non si doveva intervenire. Poi ha detto che bisogna proseguire con la politica restrittiva fino alla sconfitta dell’aumento dei prezzi. Insomma, è stata confusa. E per questo penso che continuerà a picchiare duro, per ricostruire una credibilità perduta. Mi pare troppo presto per una frenata da parte di Francoforte.

Il governo italiano vorrebbe convincere l’Europa della necessità di aggiustare il Pnrr, aggiornandolo all’inflazione e ai costi delle materie prime. Bruxelles non sembra tanto per la quale. Chi ha ragione?

Le do una notizia, che poi notizia non è. La Commissione europea ha detto in modo chiaro che delle modifiche su costi e risorse si possono applicare, alla luce dell’inflazione. Dunque, un conflitto non esiste, magari qualcuno nella maggioranza ha voluto inventarselo.

Una manovra poco dannosa e tanto realista. Ma la Bce... Parla Micossi

Intervista all’economista ed ex direttore generale di Assonime. Difficile fare di meglio con i soldi a disposizione, i mercati lo hanno capito e anche l’Europa ma contante, sanità e flat tax sono dei nei. La Banca centrale è in crisi di credibilità, per questo continuerà a picchiare duro sui tassi. Il Pnrr? Uno scontro tra Roma e Bruxelles è inventato, le modifiche sono previste dalla stessa Europa

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