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In passato, prima che scoppiasse la guerra russo-ucraina, l’Unione europea e l’Italia hanno incentrato la politica energetica sulla sostenibilità, fattore fondamentale ma singolarmente non sufficiente a vincere le sfide che abbiamo davanti e che sono già state profondamente logorate dal conflitto. Una politica energetica che voglia essere lungimirante, al contrario, deve assumere una prospettiva olistica, che si basi su tre pilastri: sicurezza energetica, competitività e sostenibilità.

Tre pilastri da sostenere e rafforzare con urgenza, dal momento che i prossimi anni saranno decisivi per riscrivere gli equilibri di forza dello scenario internazionale, in cui il fattore energetico sarà dirompente per designare la nuova leadership. Per via del rapido sviluppo delle economie emergenti, infatti, aumenterà considerevolmente la domanda globale di energia.

Luca Dal Fabbro

Si pensi che, oggi, ben 850 milioni di persone (in gran parte africani) non hanno accesso all’elettricità; o ancora, che nel 2050 Cina, India e Africa singolarmente avranno una domanda elettrica di oltre 10 volte superiore all’intera Europa; infine, che per lo stesso periodo in quelle aree del mondo vivrà oltre il 75% dei circa futuri 10 miliardi di abitanti del pianeta. È poi doveroso ricordare che i corridoi di gas nord-sud hanno prospettive limitate: i giacimenti norvegesi si stanno esaurendo, mentre è chiaro che non ci sarà un’ipotesi di approvvigionamento dalla Russia all’Europa almeno per i prossimi 15-20 anni.

In questo contesto si trova l’Italia, uno dei Paesi che in Europa ha la maggiore dipendenza energetica dall’estero (circa il 78% del fabbisogno nazionale, dati Openpolis 2021).

Peraltro, gran parte dell’energia che importiamo deriva da soli quattro Paesi (Algeria, Azerbaijan, Libia e Russia), che nel migliore dei casi presentano comunque un quadro politico instabile.

Il primo pilastro, come detto, ha a che fare con la sicurezza e la sovranità energetica, di cui pochi parlano. Ebbene, per raggiungere questo obiettivo e per far sì che un domani l’Italia possa accreditarsi come hub energetico europeo con l’avvio di un nuovo corridoio sud-nord, bisogna innanzitutto partire dai cosiddetti “compiti a casa”: in primis installare nuovi rigassificatori, come quello che Iren sta sviluppando insieme a un altro gruppo italiano a Gioia Tauro, che sarebbe il più grande d’Italia.

Questa posizione pivotale per l’Italia – non solo sovranità, ma leadership energetica – è raggiungibile solo facendo sistema, non operando da battitori liberi: questo significa lavorare insieme a Francia, Germania, Inghilterra, e non in ottica di contrapposizione ma di collaborazione con gli Stati Uniti.

Il secondo pilastro, che ci permetterà di aumentare la nostra sovranità energetica, è rappresentato principalmente dalle rinnovabili. Il target del 40% di rinnovabili nel mix energetico italiano fissato dal Piano Fit for 55, sebbene sfidante, pare raggiungibile sia dal punto di vista tecnico che della maturità del mercato.

La vera sfida è quella della semplificazione e velocizzazione degli iter autorizzativi: purtroppo, abbiamo delle procedure non al passo coi tempi, tanto che un impianto che in Francia e in Germania viene realizzato in 2 anni, in Italia necessita di almeno 5-10 anni.

La molteplicità delle istituzioni coinvolte e la mancanza di un soggetto competente unico e centralizzato in grado di gestire interamente il procedimento generano un sistema farraginoso e complesso, nel quale manca un adeguato coordinamento delle attività e un’unicità di indirizzo. Dunque, sarà essenziale lavorare sulla sburocratizzazione dei processi, accentrandone la conduzione sul minor numero possibile di soggetti ed assicurando regole certe e stabili che favoriscano gli investimenti privati nel settore.

Si arriva infine al terzo pilastro, quello della competitività. Una delle obiezioni principali è legata al tema dei costi: ebbene, la buona notizia è che produzione rinnovabile è ormai sinonimo di competitività nei costi di generazione. Del resto, tra il 2010 e il 2021 i costi di produzione di eolico offshore, eolico onshore e fotovoltaico si sono ridotti rispettivamente del 30%, 68% e 88%.

L’Italia può dire la sua soprattutto in materia di economia circolare, dove è possibile lo sviluppo di una filiera italiana di componentistica per la generazione rinnovabile e lo storage. Questi settori, come sappiamo, necessitano di importanti quantitativi di materie prime classificate come “Critiche”, terre rare come il neodimio (il magnete di una grande pala eolica ne contiene fino a 250 kg), o il litio (una batteria standard su veicolo ne contiene 8 kg). Su questi materiali siamo quasi completamente dipendenti dall’estero, ed in particolare dalla Cina: non intervenire in quest’ambito rischia di condannarci da una dipendenza dalla Russia, che al momento sembra risolta, ad una futura dalla Cina, che al momento sembra inevitabile.

Per la riuscita di questi ambiziosi piani sarà di fondamentale importanza riuscire a condividere i benefici della transizione energetica con le imprese, i cittadini e i consumatori, favorendo la crescita dimensionale delle realtà che lavorano nel settore delle fonti rinnovabili, attraverso processi di aggregazione promossi da grandi players. Inoltre, è fondamentale che la finanza pubblica nazionale ed europea sostenga la progettualità delle imprese; infine, serve una visione strategica che si concretizzi con partnership di filiera e con accordi che coinvolgono leader di mercato in ambito soprattutto europeo, al fine di garantire alle iniziative una sostenibilità di lungo periodo.

I tre pilastri da rafforzare per una nuova politica energetica. Scrive Dal Fabbro

Di Luca Dal Fabbro

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