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Mentre questa mattina i negoziatori iraniani e statunitensi si sedevano al tavolo delle trattative in Oman per discutere del programma nucleare di Teheran, e mentre il presidente Donald Trump era seduto a due file di distanza dal ministro della Cultura iraniana, Abbas Salehi, durante i funerali di Papa Francesco, un’esplosione devastante ha squarciato il porto di Shahid Rajaee a Bandar Abbas, nel sud dell’Iran. L’incidente, che ha ferito oltre 500 persone e causato almeno quattro morti, ha scosso non solo la città portuale, ma anche il fragile equilibrio diplomatico che si sta tentando di costruire. Al centro dell’attenzione sono infatti tornate le tensioni e le incertezze che caratterizzano i rapporti tra Stati Uniti e Iran, in un contesto regionale già segnato da equilibri ultra-delicati.

Un’esplosione che parla più forte delle parole

Il porto di Shahid Rajaee, che gestisce oltre il 55% delle esportazioni e importazioni iraniane, è un nodo strategico per l’economia della Repubblica islamica e per il commercio marittimo regionale e interregionale, situato a pochi chilometri dallo Stretto di Hormuz, un passaggio cruciale per il traffico petrolifero mondiale. L’esplosione, avvenuta intorno alle 12:10 ora locale in un’area doganale che conteneva materiali infiammabili, ha generato un’enorme colonna di fumo visibile a chilometri di distanza, ricordando quanto accaduto al porto di Beirut nel 2020.

Un’enorme nube di fumo grigio e arancione si è stagliata nel cielo: ed è proprio questo elemento a sollevare speculazioni. Il fumo arancione si vede di solito con il biossido di azoto (NO2), che si può produrre per l’esplosione di tetrossido di diazoto, un liquido criogenico utilizzato anche come propellente per missili. Fumi di colore simile si sono visti proprio nell’incidente di Beirut di cinque anni fa, quando appunto saltarono in aria dei componenti militari stoccati nello scalo libanese. Secondo una ricostruzione non confermabile al momento, potrebbe essere esploso il carico contenuto (o appena a scaricato) in un cargo iraniano rientrato da poco dalla Cina.

Le autorità iraniane hanno immediatamente sospeso le operazioni portuali e avviato un’indagine per determinarne la causa. Le prime ipotesi parlano di negligenza nella gestione di materiali pericolosi, ma in un’area così sensibile dal punto di vista geopolitico, non si può escludere l’ipotesi di un sabotaggio o di un attacco deliberato. Tanto che Israele ha rapidamente diffuso una nota per allontanare sospetti sul proprio coinvolgimento. Questo evento, infatti, si inserisce in un contesto di tensioni crescenti, dove ogni incidente può essere interpretato come un segnale o una provocazione.

Diplomazia sotto pressione

Nello stesso momento, sull’altra sponda del Golfo Persico Iran e Stati Uniti cercano di far progredire il dialogo avviato due settimane fa in Oman e passato per Roma per dettare l’agenda comune. Le trattative, mediate dal governo omanita, rappresentano un raro tentativo di disgelo tra i due Paesi, che non hanno relazioni diplomatiche ufficiali dal 1980. L’obiettivo è trovare una quadra per arrivare a un complesso accordo sul programma nucleare iraniano, con gli Stati Uniti che spingono per limitare l’arricchimento dell’uranio da parte di Teheran in cambio di un alleggerimento delle sanzioni economiche. Dopo il passaggio romano, il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, aveva parlato di un “cauto ottimismo”, mentre la Casa Bianca aveva definito gli incontri “positivi e costruttivi”.

Il vertice odierno si è concluso con un nuovo appuntamento fissato: il ministro degli Esteri dell’Oman ha annunciato che la prossima settimana si terrà il quarto round di colloqui, con un incontro ad alto livello previsto per il 3 maggio. Per ora quanto successo ad Bandar Abbas non ha scosso il quadro diplomatico, anche se il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, ha già ordinato un’indagine immediata sull’incidente, inviando il ministro dell’Interno, Eskandar Momeni, e il ministro dello Sviluppo Urbano, Farzaneh Sadeghi, per coordinare la risposta e supportare le vittime e “fare chiarezza” su eventuali coinvolgimenti esterni. E mentre Teheran si concentra sulla gestione della crisi interna, il sospetto di un possibile sabotaggio — magari legato a forze esterne ostili — sta già influenzando i canali Telegram più reazionari, anche con il fine di indurire la posizione del regime al tavolo negoziale.

Ci vorrà tempo per comprendere cosa è accaduto, e sarà complicato decifrare cosa c’è di reale e cosa rientra nella narrazione propagandistica del regime iraniano. Il rischio è che l’esplosione di Bandar Abbas non sia solo un disastro locale, ma un evento utilizzato (o utilizzabile) per destabilizzare ulteriormente una regione già segnata da conflitti e rivalità e il processo diplomatico in corso. La vicinanza del porto allo Stretto di Hormuz rende lo scalo un punto nevralgico: quel porto è un punto commerciale cruciale per l’Iran, le vulnerabilità sono complicate da gestire per il governo. Inoltre, la presenza nelle vicinanze di basi militari della Guardia Rivoluzionaria Iraniana (IRGC) alimenta ulteriori speculazioni su un possibile attacco mirato da parte di attori che vedono nell’Iran una minaccia e lavorano contro un’eventuale distensione dei rapporti con gli Usa conseguente ai negoziati in corso.

Il rumore dell’esplosione di Bandar Abbas sopra i negoziati Iran-Usa

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