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Si avvicina il decimo anniversario del pontificato di Francesco, l’occasione per rinfrescare la memoria e ricordarsi anche della lunga stagione in cui il “papa socialista”, o peggio, aveva una sorta di contraltare cattolico, il premier ungherese Viktor Orbàn. Era un vessillo per molti, il “defensor fidei”, davanti al “lassismo dottrinale” del papa. Già allora la sua dottrina però contemplava quel connotato di “democrazia illiberale”, come lui stesso ha detto più volte, che poi lo ha condotto con una certa coerenza a divenire l’avamposto o il terminale o l’amico, come si preferisca dire, di Putin nell’Unione europea. In questo tragitto Orbàn si capisce.

Da quando l’imminente visita di Francesco è stata ufficialmente confermata essa viene criticata in particolare da chi sosteneva Orbàn. Si può anche dire che ci torni, sebbene il precedente viaggio non era una visita in Ungheria, visto che il papa vi andò per un giorno, per partecipare al Congresso Mondiale Eucaristico, dicendo che vi sarebbe tornato, per visitare il Paese come richiestogli.

La questione che emerge riguarda ovviamente le implicazioni del viaggio in merito alla guerra in Ucraina. Il punto ci sta: non è certo difficile immaginare che nei colloqui anche di questo si parlerà. Nelle ore in cui è più evidente il rischio di un’estensione del conflitto e non soltanto in Moldavia, visto il patto di sangue che sta avvicinando Mosca e Tehran con possibili implicazioni drammatiche che in Ucraina già si vedono ma che potrebbero estendersi molto, un’interlocuzione possibile con interlocutori di quel Putin che con Francesco sin qui non ha voluto parlare appare uno sviluppo positivo, non negativo.

Il problema rimane lo stesso di prima, l’illiberalità del progetto politico che dai versanti cattolico e ortodosso oggi sembra fare da collante politico tra Orbàn e Putin. Orbàn pose varie questioni di attualità internazionale compatibili con la realtà putiniana, ma anche di suoi avversari europei, quali il no agli omosessuali, il no ai migranti, la limitazioni della libertà di stampa.

Ecco perché questo viaggio è importante. La sorprendente e lodata ospitalità verso gli ucraini dell’Ungheria, come ha messo in chiaro uno degli uomini più vicini a Francesco, il cardinale Czerny, dovrebbe estendersi anche ad altri profughi, quella della rotta balcanica, che tornerà al centro del mondo dopo il catastrofico terremoto anatolico. E questo evidentemente riguarda anche noi, la tragedia di questi giorni lo conferma.

Il viaggio di Francesco dunque merita attenzione, per la guerra e per il rapporto tra un pontificato che fa del pluralismo un suo tratto saliente e un possibile interlocutore illiberale sulla via di un dialogo difficile ma necessario. La ricerca non può che essere  il riconoscimento del diritto di un popolo a esistere, primo passo verso l’archiviazione del progetto illiberale, che in quanto tale non può che contemplare il nuovo nazionalismo.

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