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Il governo Meloni è in marcia decisa, a ritmo incalzante. Discorsi, interviste, apparizioni pubbliche sono tutte tranquillizzanti. Essi, spesso, rispondono a quello che i cittadini maturi e con buon senso vorrebbero sentirsi dire: fedeltà alla Costituzione e ai Patti internazionali; lavoro assiduo per far quadrare i conti e rispondere alle emergenze socioeconomiche; controllo sociale per abbassare la paura; qualche strizzatina compiaciuta a papa Francesco; impegno per la pace e la crisi ambientale e cosi via.

I fatti, invece, sembrano parlare un’altra lingua, viaggiano su sintonie diverse: la nomina dei presidenti dei rami del Parlamento, non certo scelti tra coloro che si sono distinti per impegno nell’unità del Paese e per alta rappresentatività delle sue componenti; la nomina di ministri e vice e sottosegretari con storie e identità culturali, in alcuni casi anche poco democratiche; previsione di un aumento del debito pubblico; la storia infinita del ponte sullo stretto (con tutti, nessuno escluso, i dubbi che crea praticamente ed eticamente); il discutibilissimo decreto legge sui raduni e, per non tradire la storia leghista, è ricominciata la vergogna anticostituzionale degli sbarchi negati, con buona pace del magistero di Francesco.

Le parole della compagine governativa sono su una lunghezza d’onda, i fatti su un’altra: contraddizioni e opposizioni sono più che evidenti. Qui, allora, si pone una prima riflessione etica: se la strategia comunicativa è pensata e voluta (niente fa pensare al contrario) forse si crede che i cittadini non siano capaci di accorgersi della differenza tra parole e fatti? È vero che viviamo in uno dei Paesi che non eccelle per formazione sociale e politica, ma il livello è cosi basso da non cogliere persino le elementari contraddizioni? Per alcuni aspetti è facile rispondere positivamente se si considerano lo stato di salute generale della nostra democrazia, considerata “imperfetta” dal Democracy Index 2021. L’indice tiene conto di 5 fattori: processo elettorale e pluralismo, libertà civili, funzione del governo, partecipazione politica e cultura politica. Tra legge elettorale anticostituzionale, precarietà dei nostri governi, scarsa partecipazione e debole cultura politica non c’è da sorprendersi delle nostre “imperfezioni”, attuali e passate. Lo stesso dicasi per i notevoli limiti del nostro sistema informativo (Press Freedom Index)

Alcuni autori (Giddens, Davies, Graziano) insistono sul fattore paura, che determina processi nazionali e internazionali, tanto da essere sempre più una forza che condiziona le scelte politiche, spesso solo su base emotiva. Il punto è capire, allora, come l’attuale maggioranza politica generi e amplifichi incertezze e paure o come le riduca e le controlli: pandemia, guerra, crisi economica, disastri ambientali sono un ottimo test per farlo. In termini tecnici il riferimento è alle istituzioni checontrollano l’incertezza” (Mary Douglas). O, più semplicemente, ci si può riferire al ruolo delle istituzioni rispetto alle paure dei singoli. Implicitamente riconosciamo, allora, che le istituzioni esercitano, con tempi e modi diversi, una sorta di “azione di protezione” (Emanuel Mounier) nei confronti del singolo, tanto da ridurne le sue incertezze e paure. Non a caso Hannah Arendt definisce “la paura e l’impotenza come principi antipolitici”, in quanto gettano le persone in “una situazione contraria all’azione politica e contengono un principio distruttivo per ogni convivenza umana.

Consegue che non solo la persona, singolarmente presa o in gruppo, necessita di politici e istituzioni che la proteggano, ma anche queste devono impegnarsi a ridurre paure, impotenze e incertezze. Va da sé che qui i proclami non servono, servono, invece parole-azioni espresse e realizzate con scienza e competenza. Altrimenti la paura cresce oppure è gestita dal populismo di alcuni. Trump, Erdogan, Orban, Putin e altri “colleghi” si distinguono per paure esasperate e soluzioni populiste falsamente rassicuranti. Sarà così anche per l’attuale governo italiano? Speriamo di no. Intanto sarebbe il caso di rimeditare spesso la lezione della Arendt: “Il potere è realizzato solo dove parole e azioni si sostengono a vicenda, dove le parole non sono vuote e i gesti non sono brutali, dove le parole non sono usate per nascondere le intenzioni ma per rivelare realtà, e i gesti non sono usati per violare e distruggere, ma per stabilire nuove relazioni e creare nuove realtà”.

Il governo marcia, tra cultura debole e paura forte. La riflessione di D'Ambrosio

Trump, Erdogan, Orban, Putin e altri “colleghi” si distinguono per paure esasperate e soluzioni populiste falsamente rassicuranti. Sarà così anche per l’attuale governo italiano? Speriamo di no. Intanto sarebbe il caso di rimeditare spesso la lezione di Hannah Arendt. La riflessione di Rocco D’Ambrosio

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