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La delibera dell’11 aprile 2023 del ministero degli Esteri russo contiene una grammatica operativa che traduce in programmazione strategica a lungo termine le strutture concettuali e dottrinali di Messner e Gerasimov, la prassi delle operazioni ucraine, e l’intenzione di saldare diplomazia, informazione, economia e sicurezza in un’unica macchina di pressione strategica. Rileggerla oggi è utile e necessario per comprendere anomalie, shock diffusi ed eventi apparentemente scollegati tra loro ma concretamente e sinergicamente coordinati e previsti da anni.

Il passaggio cruciale della delibera del Collegio del Mae si trova nella parte dedicata al contenimento degli avversari occidentali. Il documento afferma che “il contenimento complessivo dei Paesi ostili deve essere attuato attraverso campagne informative offensive e altre misure coordinate […] comprese quelle di natura politico-militare, commerciale ed economica, informativo-psicologica e nella sfera digitale”.

È la versione istituzionale, depurata da formule retoriche e orpelli ideologici, di ciò che Evgenij Messner aveva descritto come la guerra-sovversione. Un conflitto che si sviluppa, informalmente, attraverso un continuum grigio dove informazione, psicologia e pressione economica ed energetica contano quanto la forza militare tout court.

Il documento, datato 2023, in realtà mette solo nero su bianco modalità già teorizzate e in parte sperimentate in Georgia nel 2008 o in Ucraina sin dal 2014, ma soprattutto ciò che sta accadendo oggi. L’integrazione di strumenti diplomatici, campagne di influenza, manipolazioni energetiche e operazioni cibernetiche è diventata la formula della proiezione esterna russa, la continuazione concreta di ciò che Messner aveva intuito negli anni Sessanta e che Gerasimov ha poi formalizzato.

Un’altra parte centrale del testo del Mae riguarda la riorientazione globale della politica russa secondo la necessità di “rafforzare significativamente gli sforzi nelle direzioni eurasiatica, africana, medio-orientale e latino-americana per sviluppare nuovi centri di cooperazione internazionale”, sottolineando che “il lavoro con gli Stati europei deve essere costruito tenendo conto della loro crescente dipendenza politica dagli Usa”. È l’anticipazione della geometria variabile che caratterizza la Russia del 2025, la quale si articola secondo una espansione decisa nel Sahel, il ritorno nel Mar Rosso, la diplomazia energetica tra Golfo e OPEC+, la ricucitura dei rapporti con governi latinoamericani disallineati agli Stati Uniti e lo sviluppo della cooperazione tra Mosca e Pechino, avanzando laddove Nato, Usa ed Europa indietreggiano.

A questo si aggiunge la prescrizione, contenuta nella stessa delibera, secondo cui tutte le attività devono “essere condotte seguendo un approccio sistemico e coordinato”; formula che spiega il complesso ingranaggio ibrido russo: una macchina inter-agenzia che include il Consiglio di Sicurezza, gli apparati informativi, i servizi di intelligence e i reparti militari dedicati alle operazioni psicologiche.

Il documento prosegue indicando la necessità di riconsiderare la partecipazione russa nelle organizzazioni internazionali, prevedendo “la possibilità di cambiamenti di formato e, se necessario, la sospensione della partecipazione stessa”. Un’indicazione che suggerisce una revisione strutturale del rapporto con il multilateralismo tradizionale. La stessa revisione fortemente ricercata da Pechino, la stessa è individuabile nell’ultimo biennio con la progressiva marginalizzazione delle sedi multilaterali percepite come ostili, il rafforzamento dei BRICS+ come piattaforma alternativa, la creazione di circuiti commerciali e finanziari non-dollarizzati. La logica è messneriana nel metodo, gerasimoviana nella tecnica e profondamente politica negli obiettivi: costruire, attraverso guerra psicologica, infiltrazione politica, accademica, mediatica e culturale e tramite continue operazioni sottosoglia un mondo in cui la Russia può competere senza essere costretta a giocare secondo regole scritte altrove.

Oggi quella delibera non è un reperto, ma una lente per interpretare la postura russa nel mondo frammentato del dopo-2022. Le campagne informative offensive, le pressioni economiche mirate, il corteggiamento dei Paesi del Sud globale, il riposizionamento nelle aree grigie dei conflitti africani e medio-orientali, il tentativo di segmentare la coesione occidentale. Tutto emerge come l’esecuzione metodica di un piano già fissato sulla carta due anni fa e intuito con largo anticipo da strateghi come Evgenij Messner, secondo il quale la dimensione bellica avrebbe assunto la forma di una sovversione permanente che avrebbe potuto attivarsi tramite una fitta ma coordinata trama di rivolte pilotate, sabotaggi, propaganda e attori irregolari, capaci di corrodere dall’interno la coesione di uno Stato. Nella sua Myatezh-Voina, la distinzione tra pace e guerra svanisce, ogni spazio diventa campo di conflitto e ogni cittadino un potenziale vettore d’instabilità.

 

Il vero obiettivo, il fine ultimo è l’anima della società nemica, da piegare attraverso ambiguità strategica, campagne psicologiche e micro-violenza diffusa. In questo schema, proteste apparentemente spontanee, cellule clandestine, shock diffusi e manipolazione informativa compongono un’unica architettura di pressione graduale e diffusa, progettata per logorare il morale e paralizzare le istituzioni senza mai provocare uno shock capace di ricompattare il Paese bersaglio.

Rileggere oggi la delibera del 2023 significa ottenere una chiave di lettura utile la comprensione di alcuni degli eventi, dai sabotaggi agli hackeraggi, dalle micro-incursioni nei cieli ai sussulti popolari, politici o accademici che attraversano l’Europa intera, da Varsavia a Parigi, fino a Torino, Bologna, Roma.

Colpire l’anima della società nemica per erodere l’Occidente. Ecco la dottrina russa

La delibera riservata del Collegio del Mae russo dell’11 aprile 2023 rappresenta oggi la chiave interpretativa più rilevante per comprendere l’attuale proiezione russa su scala regionale e globale. In quelle pagine, dove si afferma che “il contenimento complessivo dei Paesi ostili deve essere attuato attraverso campagne informative offensive”, si delinea una strategia che trascende la diplomazia classica e abbraccia la logica della guerra ibrida permanente, della quale oggi la politica estera russa ne è la più concreta materializzazione

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