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Adolfo Urso lo ripete spesso in questi giorni: sì all’utilizzo, da parte del governo presieduto da Giorgia Meloni, della normativa Golden power per difendere le aziende italiane dalle mire straniere, proprio come fatto dal precedente esecutivo guidato da Mario Draghi. Particolare preoccupazione destinato gli interessi che provengono da Russia e Cina. Il nuovo ministro delle Imprese e del made in Italy, che sostituisce nella dicitura e nelle funzioni quello per lo Sviluppo economico, l’ha detto in molte interviste: “Abbiamo un’eccellenza da proteggere e sviluppare”, ha spiegato al Corriere della Sera. “Nel campo manifatturiero, nel settore turistico e in quello agroalimentare siamo secondi in Europa. Dobbiamo difenderci da una dinamica di esproprio della nostra tecnologia, che è in atto, e che è stato arginato dal governo Draghi con il ricorso in più occasioni alle norme del Golden power”.

Urso, tornato al dicastero di via Veneto dopo 12 anni, questa volta da ministro, ha rivendicato quanto fatto al Copasir, prima da vicepresidente poi da presidente. “Anche grazie al mio impulso”, ha spiegato al Quotidiano Nazionale, “il raggio di azione è stato largamente ampliato, da Mario Draghi (che non è un noto protezionista), nei confronti delle imprese anche europee e di ampi settori produttivi. E, dunque, noi procederemo su questa strada perché siamo favorevoli a investimenti esteri e anzi li vogliamo attrarre, ma devono essere funzionali alla crescita e non operazioni rapaci per sottrarci tecnologie”, ha aggiunto. “Nei quattro anni in cui sono stato al Copasir, anche se Fratelli d’Italia è sempre stata all’opposizione, abbiamo contribuito con responsabilità ad estendere il campo di applicazione della Golden power, che nasce nel campo delle tecnologie di difesa e poi progressivamente è stato esteso alle telecomunicazioni, alla finanza, al sistema bancario, al farmaceutico, e perfino all’agroalimentare”, ha detto al quotidiano La Stampa in un’intervista in cui ha anche suonato la sveglia per la “sovranità tecnologica”.

In tempi recenti lo strumento del Golden power non è stato soltanto cambiato ma è stato “rivoluzionato”, ha spiegato Bernardo Argiolas, coordinatore dell’Ufficio Golden power all’interno del Dipartimento per il coordinamento amministrativo di Palazzo Chigi. Prima “aveva un impatto tutto sommato sul mercato e sulle decisioni della parte pubblica”, ha continuato nel suo intervento in un webinar organizzato dall’Osservatorio Golden power, gruppo di ricerca nato in collaborazione con la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Trento e guidato dall’avvocato Michele Carpagnano, partner dello studio Dentons.

Negli ultimi due anni, complice anche il mutato contesto internazionale con la pandemia Covid-19 prima e l’invasione russa dell’Ucraina poi, la normativa è stata rafforzata e cambiata. Due i passaggi cruciali. Primo: a metà 2020, il decreto Liquidità, che ha ampliato il perimetro Golden power a settori che prima ne erano estranei (come il settore sanitario e quello alimentare) e per la prima volta, anche al di fuori degli ambiti della difesa e della sicurezza nazionale, a operazioni di acquisizione di partecipazione da parte di soggetti comunitari. Secondo: il decreto Ucraina, che ha esteso il potere di veto del governo sulle attività di imprese operanti in settori di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale e ha, sul versante procedurale, semplificato le procedure di notifica delle operazioni al governo. Oltre a questi due passaggi, va segnalato il Dpcm 133, in vigore dal 24 settembre 2022, che ha integrato e semplificato la disciplina prevedendo la possibilità i soggetti obbligati alla notifica di presentare una prenotifica che consente un vaglio preliminare sull’applicabilità della normativae sull’ammissibilità dell’operazione, con la finalità di alleggerire l’attività procedimentale.

A illustrare la direzione del governo Draghi sulla normativa Golden power era stato Roberto Chieppa, segretario generale della presidenza del Consiglio. Escludendo l’ipotesi di possibili misure di indennizzo in favore dei proprietari delle aziende su cui scattano il veto o prescrizioni che inducono a rinunciare a un operazione notificata ai sensi della normativa sui poteri speciali, aveva spiegato: meglio, piuttosto, “aumentare la prevedibilità delle decisioni può consentire alle imprese di meglio orientare i propri investimenti e assumere scelte compatibili con l’interesse nazionale”.

Dunque, semplificare e rende l’attività prevedibile. Anche perché il numero di operazioni oggetto di notifica per l’esercizio dei poteri speciali sta continuando a crescere: erano 83 del 2019 e 342 nel 2020, sono state 496 nel corso del 2021 (anno in cui, a febbraio, si è insediato il governo Draghi), come recita l’ultima Relazione al Parlamento in materia di esercizio dei poteri speciali presentata a luglio al Parlamento da Roberto Garofoli, allora sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri. Nonostante l’alto numero di notifiche, in pochi casi l’intervento del governo si è tradotto in uno stop: sono state soltanto tre le operazioni bloccate e 26 quelle alle quali sono state imposte condizioni per concedere l’approvazione.

Urso si trova oggi a gestire i dossier relativi al Golden power in coordinamento con Palazzo Chigi e il ministro dell’Economia guidato dal suo predecessore al Mise, il leghista Giancarlo Giorgetti. In una delle ultime sedute, il Consiglio dei ministri presieduto da Draghi, su proposta del ministro Giorgetti, aveva esercitato i poteri speciali sui piani 5G delle aziende Tim e Vodafone oltreché per fornire prescrizioni sull’acquisizione da parte di Cogne acciai speciali al gruppo taiwanese Walsin Lihwa (closing previsto entro fine anno).

Un nuovo Golden power. Il lascito di Draghi a Meloni e Urso

In tempi recenti lo strumento è stato “rivoluzionato”, ha spiegato Argiolas, coordinatore dell’ufficio competente a Palazzo Chigi. In questi giorni il neoministro ripete spesso il suo sì ai poteri speciali per difendere le aziende italiane dalle mire straniere, in particolare cinesi e russe. La continuità corre anche attraverso Giorgetti, prima al Mise oggi al Mef

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