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Tutti giù dal carro cinese, proprio mentre le grandi banche del Dragone mettono a bilancio le prime vere voragini nei conti. Che il sistema del credito cinese stia vivendo una delle sue congiunture più difficili, a causa della crisi irreversibile del mercato immobiliare, è cosa nota. Ma la dimensione dei danni causati dalla bolla immobiliare alle banche cinesi che hanno prestato denaro senza più rivederlo, forse meno.

Adesso però ci sono i numeri e quelli, si sa, non mentono. I quali raccontano di come cinque dei maggiori istituti cinesi abbiano riportato ferite profonde dalla crisi del settore immobiliare, con una valanga di crediti diventati improvvisamente inesigibili e per questo tramutatisi in perdite. I risultati del primo semestre parlano chiaro: tutti i più grandi istituti hanno scontato la scelta di finanziare un comparto in agonia, che per sfortuna di Pechino vale tra il 25 e il 30% del suo Pil.

Un esempio? China Construction Bank Corp  e Bank of China, due delle quattro sorelle del credito cinesi, hanno registrato un aumento del 68% del debito immobiliare divenuto inesigibile. In altre parole, quasi sette prestiti su dieci sono di difficile recupero. Nel frattempo, la più grande banca commerciale del mondo per asset, la Industrial and Commercial Bank of China (Icbc) ha registrato un aumento del 15% del debito del settore immobiliare nello stesso periodo e sempre inesigibile. Tutto questo impatterà notevolmente sui bilanci delle grandi banche, una volta chiusi a fine anno, dal momento che allo stock del primo semestre di sommerà quello del secondo.

“Colpito dall’epidemia e dalla pressione al ribasso sull’economia, l’attuale ambiente operativo delle banche è complesso e cupo”, ha dichiarato il vicepresidente Wang Jingwu della Icbc in una conferenza stampa dopo la pubblicazione dei risultati. “È difficile operare per alcuni settori e clienti che sono fortemente colpiti dall’epidemia e dal ciclo economico”, ha aggiunto Wang. Non è finita.

Le prime, vere, crepe nei bilanci delle banche cinesi sono solo una faccia della medaglia. L’altra sono le società maggiormente capitalizzate che degli istituti non si fidano più. Al punto, ha rivelato il Financial Times, che gli azionisti si starebbero affrettando a restituire i prestiti contratti per non rimanere ingarbugliati nella crisi bancaria del Dragone, il cui baricentro è oggi presso i piccoli istituti rurali. I quali però hanno dato una lezione, da non prendere sotto gamba. Come raccontato da Formiche.net, infatti, le banche finite a corto di liquidità hanno trattenuto i depositi dei correntisti e dei risparmiatori, scatenando la loro ira. E lo stesso potrebbero fare con clienti ben più robusti. I quali, per evitare una crisi di cassa, preferiscono restituire il dovuto, garantendo la liquidità alle medesime banche.

“Il pagamento anticipato è il desiderio di ridurre la leva finanziaria e mostra una domanda in calo, che è coerente con i dati macro che abbiamo visto”, ha affermato Nicholas Zhu, senior credit officer di Moody’s Investors Service. Basti pensare che il debito delle famiglie a medio e lungo termine in essere, costituito principalmente da mutui, è aumentato solo del 2,9 per cento durante i primi sei mesi del 2022, in calo dal 5,2 per cento rispetto alla seconda metà del 2021. Insomma, i cinesi si fidano meno delle banche. Le loro.

Meno fiducia, più perdite. Lo psicodramma bancario cinese

Le semestrali dei maggiori istituti del Dragone rivelano un’impennata dei crediti diventati inesigibili, perché legati al mercato immobiliare in agonia. Mentre molte società capitalizzate accelerano la restituzione dei prestiti per non fare la fine dei piccoli risparmiatori truffati dalle banche rurali

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