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L’Unione europea, il Coreper in particolare, ha deciso lunedì notte di congelare € 6,35 miliardi, il 55% dei fondi coesione destinati all’Ungheria. La cifra trattenuta, per quanto significativa, è più bassa rispetto al 65% proposto da Ursula von der Leyen, che sta cercando di mantenere la linea dura con il governo di Viktor Orban. Insomma, prosegue il braccio di ferro tra Budapest e Bruxelles, con la prima bisognosa di fondi per risollevare l’economia e la seconda che stringe i cordoni della borsa di fronte allo scarso impegno ungherese nell’implementare le riforme richieste a favore dello stato di diritto.

Lo sconto, da 65% a 55%, sui fondi congelati è il frutto di un accordo che prevede che il governo ungherese revochi il veto sul pacchetto di aiuti all’Ucraina e sull’imposta minima sulle multinazionali. Si potrebbe dire che, alla fine, la battaglia negoziale (o il ricatto) di Orban abbia pagato? Più o meno. L’esito positivo per il governo ungherese è quello di avere fatto approvare il proprio piano di ripresa post pandemica, quello negativo è che Bruxelles insiste perché l’Ungheria adotti le misure richieste a tutela della democrazia.

Il risultato di ieri è dovuto a due fattori. Il primo è il sistema comunitario che prevede l’unanimità nelle votazioni del Consiglio europeo. Il secondo è che l’Unione ha voluto in tutti i modi, e anche giustamente, presentare una facciata unita mentre la guerra infuria ai confini dell’Europa dell’est.

La vicenda dei € 18 miliardi promessi da Bruxelles a Kiev per coprire i buchi nel bilancio ucraino del 2023 è emblematica. Dopo settimane di stallo a causa del veto di Budapest, i funzionari europei avevano escogitato una soluzione alternativa: sostanzialmente sarebbero stati offerti all’Ucraina garanzie individuali di ognuno dei 26 Stati membri. Il che sarebbe stato davvero imbarazzante per le istituzioni comunitarie in termini di immagine. L’Ue salva la faccia anche sull’accordo per una tassazione minima sulle multinazionali, firmata da 130 Paesi.

Intervistata da Politico, l’ambasciatrice della Repubblica Ceca, ora alla presidenza di turno del Consiglio europeo, Edita Hrdà ha smentito le voci che circolano a Bruxelles secondo cui Budapest otterrebbe ulteriori compensi sotto forma di altri fondi europei, come ad esempio il programma RepowerEU sull’energia.

La decisione adottata ieri sera verrà formalizzata mercoledì, evitando così di superare la scadenza del 19 dicembre, oltre la quale l’Ungheria avrebbe perso il 70% dei fondi se il proprio recovery plan non fosse stato approvato.

Detto questo, il governo di Orban ha accettato di ingoiare amaro questa volta per continuare la battaglia alla prossima occasione. Soprattutto visto che non ci sono garanzie di alcun genere sul fatto che possa rispettare le 27 richieste europee a tutela della democrazia e dello stato di diritto.

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