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E’ una ferita che ancora sanguina. Una storia di piombo e sangue, senza verità. Quarant’anni dopo. Domani ricorre l’anniversario dall’attentato terroristico alla sinagoga di Roma (alle celebrazioni è prevista anche la presenza del Capo dello Stato, Sergio Mattarella). Gaj Tachè è diventato il cognome simbolo di “un secondo tradimento da parte dello Stato, ai danni degli ebrei”. Per qualcuno, quell’episodio, nella scala della gravità è di poco sotto la Shoah. Tra questi c’è senz’altro Ugo Volli, semiologo, docente e analista delle questioni mediorientali.

Volli, la Shoah portò allo sterminio di oltre sei milioni di ebrei. Nell’attentato morì il piccolo Stefano e vennero ferite altre 37 persone. Perché ai suoi occhi sono episodi quasi egualmente gravi?

L’attentato alla sinagoga è uno dei grandi misteri italiani, per il quale ancora non è stata svelata la verità e ancora nessuno si è fatto alcun giorno di galera. I fatti dell’82 sono gravissimi per le implicazioni e per gli intrecci evidenti con la politica. Senza contare che la meschinità dell’accaduto è riscontrabile anche dal fatto che vennero colpiti prevalentemente bambini, richiamati al tempio per le festività di Sukkoth.

Come andò quel giorno secondo lei?

Il tempio era sguarnito da qualsivoglia protezione, proprio il 9 ottobre. Nonostante vennero inviate al Ministero degli Interni ben 26 informative di vario genere da parte dei servizi segreti, che lanciavano un allarme sull’ipotesi molto concreta di un attentato a obiettivi ebraici. Non solo, l’allora presidente dell’Ucei Tullia Zevi chiese espressamente protezione al Ministero per le festività. Voce che, chiaramente, rimase inascoltata.

L’82 fu un anno di sangue anche in giro per l’Europa. 

Certo, ci furono diversi attentati: da Vienna, Parigi, Bruxelles ma anche Milano. Ed è per questo che non è ammissibile che la sinagoga fosse totalmente priva di un presidio. Vanno peraltro sottolineati due fatti che gettano ulteriori ombre sulle implicazioni politiche su questo attentato.

Si spieghi. 

Il leader dell’Olp Arafat parlò a Montecitorio con la pistola in cintura, seguito da una scorta armata. Non solo: venne accolto da Sandro Pertini tra baci e abbracci. Peraltro, due mesi prima dell’attentato, un corteo sindacale guidato da Luciano Lama scaricò davanti alla sinagoga una bara. E’ evidente, insomma, che l’odio per Israele si tradusse in breve nell’odio verso tutti gli ebrei.

Vede, dunque, legami tra l’Olp e l’attentato.

Non solo. Penso che il governo italiano abbia ‘consentito’, nel solco del Lodo Moro, che l’attentato avvenisse.

Quale fu la risposta della politica?

Un insieme di reticenze e menzogne. A partire proprio dal titolare del dicastero dell’Interno, Virginio Rognoni, recentemente scomparso portandosi nella tomba i suoi segreti. Il ministro mentì due volte al Parlamento. In primo luogo affermando che non c’era stata alcuna richiesta di presidiare la sinagoga (quando invece sia i servizi segreti che Tullia Zevi avanzarono espressamente la richiesta di protezione) e in secondo luogo mentì sui tempi di intervento della polizia. Rognoni sostenne che le forze dell’ordine intervennero dopo qualche minuto dall’attentato, quando invece testimoni diretti dell’accaduto sostennero che gli agenti arrivarono non prima di un’ora.

L'attentato alla Sinagoga è un "secondo tradimento agli ebrei"

Secondo il semiologo Ugo Volli, l’attentato alla sinagoga di 40 anni fa è uno dei grandi misteri italiani, per il quale ancora non è stata svelata la verità e ancora nessuno si è fatto alcun giorno di galera. I fatti dell’82 sono gravissimi per le implicazioni e per gli intrecci evidenti con la politica. Senza contare che la meschinità dell’accaduto è riscontrabile anche dal fatto che vennero colpiti prevalentemente bambini

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