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Amici e alleati sulle poltrone, davanti alle telecamere, alle macchine fotografiche e in qualche salotto. Ma dietro le quinte, a sipario calato, le cose stanno diversamente. La Cina continua a sbattere la porta in faccia alla Russia, negando appoggi importanti e strategici che potrebbero fare la differenza, proprio nel momento in cui le sanzioni cominciano a mordere l’ex Urss e il timore per un default, già il prossimo mese di maggio, comincia a serpeggiare ai piani alti della Banca centrale russa.

Prima lo scarso zelo nell’assicurare a Mosca l’acquisto di petrolio qualora l’Europa dovesse raggiungere le condizioni per uno sganciamento dalle forniture russe. Ora un altro niet, di quelli che pesano, sul terreno del possibile, ma a questo punto improbabile, aggiramento di una delle sanzioni più dure fin qui comminate: l’estromissione della finanza russa dal circuito internazionale Swift.

Premessa. Con la precipitosa fuga dei grandi produttori di microchip, ultimo tra tutti Intel, l’ex Urss è praticamente rimasta a secco di microprocessori. Senza considerare il rompete le righe di Visa, MasterCard, Apple Pay e Google Pay, che hanno sospeso da settimane le operazioni nel Paese a causa dell’embargo, spingendo gli stessi produttori di chip a fare fagotto.

Ancora un passo indietro, fino alla realizzazione del National Payment Card System, riconosciuto dalle sue iniziali russe Nspk, il meccanismo che gestisce il sistema monetario alla base delle transazioni con carte di credito in Russia. Connessa al Nspk è poi la società russa di carte personali, nota come Mir, che si basa proprio sull’infrastruttura del Nspk. Ad oggi, più di 100 milioni di carte Mir sono state emesse dopo il lancio nel 2015, con l’obiettivo dichiarato di aggirare Swift, anche utilizzando il sistema di messaggistica russo Spfs.

Ora, le carte Mir non possono funzionare senza la componente tecnologica. Al Cremlino lo sanno, tanto da essersi rivolti a un cliente d’eccellenza, fedele alleato, almeno sulla carta: la Cina, attraverso UnionPay, conosciuta anche come China UnionPay, società di Shanghai che nel 2015 aveva già superato Visa e Mastercard per valore totale dei pagamenti effettuati dai clienti. L’obiettivo era far entrare carte cinesi, già provviste di microchip, nel circuito Mir.

Qualcosa però deve essersi inceppato e UnionPay ha fatto sapere che non collaborerà con la Sberbank, la più grande banca di Mosca, alla quale avrebbe dovuto fornire le carte con annessi chip. Dietro l’improvviso dietrofront, ci sarebbe la paura di essere coinvolti nelle sanzioni che hanno colpito la Russia. UnionPay, inoltre, ha troncato le relazioni con altre banche sanzionate fra cui Alfa Bank, Vtb e Otkrytie.

E pensare che le stesse Sberbank, Vtb, Otkritie e Alfa-Bank, già da marzo stavano esplorando la possibilità di utilizzare il sistema cinese UnionPay. Anche la Promsvyazbank ha emesso carte della UnionPay prima di essere colpita dai provvedimenti occidentali, ma ha recentemente interrotto le sue operazioni. La Sovcombank, invece, aveva in programma di emettere carte di credito Halva, che si appoggiano al circuito UnionPay, ma ha abbandonato il progetto a causa dei forti limiti che le banche sanzionate incontrano all’estero. Insomma, niente da fare, in un verso o nell’altro.

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