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Dunque la guerra è scesa dallo schermo della sala cinematografica ed è entrata in casa nostra, appena più lontano da scenari di periferie che ci sembra quasi di aver attraversato per arrivare fino dove abitiamo. Laddove sono con noi le signore ucraine che si occupano dei nostri vecchi, donne e uomini che possiamo incontrare la domenica, o nel sabato di riposo, nei nostri parchi e sui nostri lungomari, le ragazze che vincono i concorsi di bellezza, le persone che ci aiutano nella nostra quotidianità.
Quasi duecentoquarantamila in Italia, cordiali, aperti, seri, orgogliosi della loro appartenenza ad una comune identità europea. C’è qualche frammento, nell’overdose di immagini orrorifiche che, con l’ineluttabile voyeurismo dell’immediato tv e social ci stanno rovinando addosso, racconta più che ogni analisi astratta quel che sta succedendo in quel pezzo di mondo. Si tratta di immagini, come i carri armati che travolgono e spazzano auto ed esseri umani, che richiamano qualcosa che è parte della memoria collettiva della paura accumulata nel secolo scorso, con l’anschluss della Polonia da parte del Terzo Reich.
Hitler lamentava soprusi subiti dalla minoranza tedesca in Polonia e allestiva persino delle finte uccisioni di soldati del suo esercito al confine per giustificare i panzer in rotta verso Varsavia, così come Putin racconta di un intervento a sostegno della democrazia nella regione del Dombass, messa in crisi dai “fascisti drogati” al governo dell’Ucraina. Se volete una citazione esopica ci sta bene il lupo e l’agnello: siamo al 560 a.C., più o meno, ma il modo non cambia.
Quello che, invece, è nuovo agli occhi dei contemporanei e appare degno del surrealismo sanguinario e straniante di Alejandro Jodorowsky nei film come El Topo e la Montagna Sacra, è il dialogo tra Putin e il capo del nuovo KGB Naryshkin. Il breve filmato è andato su tutti i canali televisivi e social dell’Occidente: la scena si svolge nella sala immensa del Cremlino dove si tiene la riunione del servizio di sicurezza russo. Putin è solo, troneggia un poderoso tavolo bianco che in realtà sembrerebbe destinato a ricevimenti e libagioni, piuttosto che a farsi arredo di un gabinetto di guerra.
Tutti gli altri boiardi militari sono seduti a semicerchio su poltroncine lontane non meno di una decina di metri e forse più. Naryshkin si alza per dire la sua usando un microfono al centro della sala e così si consuma in un minuto la brusca consultazione da parte di un capo che lo umilia costringendolo ad accettare la linea del riconoscimento delle due Repubbliche nel bacino del Donec, con l’evidente carico di conseguenze ormai note. Il povero Naryshkin aveva osato suggerire la via diplomatica. Viene redarguito in modo duro e indotto a rimangiarsi il cedimento ad inopportune morbidezze.
Non abbiamo il filmato del prosieguo della riunione ma, date le premesse, non ci pare di poter dubitare che la pratica si sia conclusa in una mezz’oretta al massimo, compreso il discorsetto dello zar. Cosa rileva in quelle immagini? Oltre le scenografie da tragedia greca, la psicologia tormentata di un autocrate in perfetta solitudine, che tollera con fatica le minime procedure imposte dalla sua stessa democratura, che assume le decisioni da solo, che mette anche barriere fisiche tra sé e il resto del mondo. Specialmente quando, poi, il resto del mondo non la pensa come lui.
Per capire, dunque, lo zar Vladimir Vladimirovič occorrono le scienze della psiche, perché la politologia e la regola del “cui prodest” non bastano più. Non è una risorsa nuova: già nella seconda metà dell’Ottocento Gustave Le Bon approfondiva la psicologia delle folle e diventava autore di culto per Mussolini, Hitler, Stalin. Il che, oltre a non rassicurare più di tanto, ha avuto il curioso destino di provocare più avanti l’impiego della psicanalisi per comprendere che cosa passava per la testa di quegli stessi dittatori.
La mancanza degli anticorpi allestiti dalla democrazia, che non lascia mai uomini soli al comando, rende possibili le aberrazioni che portano negli abissi. Teniamone conto quando rendiamo possibili indebolimenti dei nostri parlamenti e cessioni di potere ai “leader maximi” in forma di capi di partito. La banalità del male che guadagna centimetri ogni giorno è subdola e letale.
Mi veniva in mente in queste ore un tormentone berlusconiano di qualche anno fa riguardante i magistrati. Diceva l’allora Presidente del Consiglio che, prima di far prendere servizio ai pm, sarebbe stato necessario procedere ad una accurata visita psichiatrica per constatarne la sanità di mente necessaria per assolvere al ruolo. Sospendo il giudizio sull’applicazione della procedura a quella categoria di funzionari pubblici italiani, però non so se l’idea sia poi così sballata se pensiamo ad un personaggio che in perfetta solitudine è in grado di decidere guerre e precipizi senza fine. Avete presente il dott. Stranamore di Kubrick e le bombe nucleari?

Phisikk du role - Nella testa dell'autocrate

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