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Sul Corriere della Sera del 4 gennaio è stata presentata come “una proposta franco-italiana” sul debito da Covid un lavoro apparso sul sito dell’Università di Chicago e firmato da economisti che, in questo periodo, collaborano con il presidente francese Emmanuel Macron e con il premier Mario Draghi.

Il 4 gennaio sono stato letteralmente inondato da mail con commenti di economisti grandi e piccoli. Pensando che l’originale è sempre meglio della copia (anche se riassunta da un bravo giornalista), sono andato sul sito dell’università di Chicago e sul quello del mio abbonamento al Social Science Research Network ed ho letto l’integrale del paper.

Tralasciando alcuni aspetti tecnici (che soffrono dall’essere eccessivamente macchinosi e “con troppe parti in commedia”), il lavoro propone un’Agenzia Europea per il debito da Covid (che potrebbe nascere dal Meccanismo europeo di stabilità o rimpiazzarlo) ed essenzialmente sarebbe “un magazzino” a basso costo del debito degli Stati acquistato, in base a vari programmi, dalla Banca centrale europea (Bce) per alleggerire le finanze pubbliche durante il Covid.

Non è chiaro se tale debito verrebbe “parcheggiato a oltranza” nel “magazzino” o rivenduto (a chi? Dato che gran parte del mondo è alle prese con lo stesso problema) tramite il mercato secondario. Cosi come presentata, la proposta inciampa su tre difetti di fondo:

a) Il problema del debito da Covid non è solo o principalmente europeo, ma mondiale. Una “soluzione europea” – anche la migliore e la più chiara- sarebbe sub-ottimale;

b) Una eventuale proposta franco-italiana non può che irritare non solo quelli chiamati Stati “frugali”, ma così come scritta nel lavoro anche la Repubblica Federale Tedesca, il cui Governo avrebbe serie difficoltà con la propria Corte Costituzionale:

c) La messa in operatività dell’Agenzia – con personale in grado di fare le necessarie analisi economiche e finanziarie – richiede almeno cinque anni, tenendo conto delle ratifiche di nuovi trattati o di modifiche (e, quindi, ratifiche) di quelli attualmente in vigore.

Un’agenzia per la soluzione del debito dei Paesi in via di sviluppo (tramite un misto di garanzie da istituzioni finanziarie internazionali – Banca mondiale e Fondo monetario) venne proposta nel “rapporto Craxi” del dicembre 1990 (disponibile sul sito del Segretariato alle Nazioni Unite) all’assemblea generale Onu, “rapporto” redatto in quanto l’ex presidente del Consiglio italiano operava nella veste di inviato del Segretario Generale delle Nazioni Unite per il problema del debito.

La materia è trattata in dettaglio in un mio saggio ne La Rivista di Politica Economica del gennaio 1991; nel lavoro si passavano in rassegna le proposte sul tappeto e si concludeva che la strada migliore sarebbe stata quella di affidare il compito (di smaltire non solo di parcheggiare il debito) alle due istituzioni create a Bretton Woods, Banca Mondiale e Fondo Monetario.

In pratica, negli anni Novanta, venne in gran parte risolto il problema tramite operazioni di assicurazione e vendita sul mercato secondario gestite dal Senior Vice Presidente Finance della Banca Mondiale e dal suo omologo al Fondo Monetario. Banca e Fondo disponevano di uno strumento – il finanziamento del riassetto strutturale – di cui l’Unione europea potrebbe disporre unicamente se il Next Generation EU diventasse annuale e permanente – ipotesi oggi quanto meno fantasiosa.

Ultima domanda: se il cavallo da corsa è stato già inventato, perché cercare di inventarle un altro?

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