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Nella presente sede si lascia a storici, sociologi e analisti della contemporaneità la descrizione della dirittura d’arrivo circa l’evento pandemico, oltre che le previsioni quanto all’andamento del futuro prossimo; anche i testimoni oculari, il che ha sempre una sua valenza sorprendente, possono essere voci importanti della società civile.

Attori, politici, intellettuali. Linguaggi e immagini continuano a essere proposti nella loro versione “imperiale”, ergo solida, appartenente all’espressività che è tipica delle certezze (richiamo qui un’immagine cara a Bret Easton Ellis). Così continua a essere sino agli inizi degli anni Dieci del presente secolo. Dopodiché, finalmente, si manifestano la sintomatologia – tanto attesa e temuta – e i postumi della tragedia.

“Morivate perché faceva freddo dopo aver fatto caldo”, afferma Albert Camus ne Lo stato d’assedio: gli autori di narrativa impegnata, negli anni, si distaccheranno dalle loro strutture eteree e volutamente prive di intreccio, per approcciare, come decenni orsono, la distopia delle fantascienze, pur manifestando un inspiegabile disprezzo per la cifra stilistica adottata (Don De Lillo, Ian McEwan, Kazuo Hishiguro, Cormac McCarthy, e via dicendo).

In breve, tali autori sono costretti dal clima drammatico ad adottare registri serrati e disillusi, senza voler ammettere di aver rinunciato alla quiete della loro poetica (precedentemente composta, appunto, di legittime illusioni): fantascienza contro realismo fantastico, si potrebbe concludere. Gli Autori più stimati dalla critica letteraria, tra cui Jeffrey Eugenides (Middlesex, in Italia con Mondadori) e il citato Jonathan Franzen, rifiutano il confronto diretto con cenere e materia nera, sottraendo dignitosamente lo sguardo e dedicandosi ad Altro, dunque a saghe familiari e a recenti passati. Basti pensare che lo stesso Franzen ha di recente composto Crossroads (Einaudi, 2021), che è l’ideale primo capitolo di una trilogia, la quale dovrebbe far giungere i lettori dagli anni Settanta del secolo scorso sino ai giorni nostri (il nome della saga è A key to all mythologies, storia di tre generazioni dai primi anni Settanta sino a oggi). In Zona disagio, uscito nel 2006, F. ripercorre temi similari. Il pretesto è la vendita della casa di sua madre, per poi discorrere con scioltezza della sua passione per Peanuts, Tolkien, Lewis, e ancora: la sua educazione cristiana, la passione per la lingua tedesca, il fallimento del suo matrimonio e l’amore per il birdwatching.

Non si può dire lo stesso di Jonathan Safran Foer (con l’esplicito Molto forte, incredibilmente vicino, edito in Italia da Guanda) e di Philip Roth, il cui sguardo rimane rivolto al presente, ma a un presente filosofico, dilaniato dalla Sua stessa letteratura, dalla propria anima e dalla propria psicologia di Autore. L’unica eccezione è appunto data dal testo Il complotto contro l’America (edito in Italia da Einaudi), pur felice eccezione che è chiaro rimando alla stortura politica di una insensatezza generazionale e geografica, oltre che ovviamente temporale (Roth si avvicina ai vari De Lillo e Pynchon).

E, poi, vi sono gli autori di genere: anche loro rispondono, e dal momento che il mondo è tutto ciò che accade (Gomez D’Ávila) si dovrebbe analizzare avidamente anche il loro comportamento. King e Powers soffrono vistosamente, e vivide si fanno le loro narrazioni di cattivo gusto, nel senso buono del termine, o trucide, come è giusto che sia (è il genere pulp).

E in Italia cosa accade? Interessante esordio, ad esempio, è quello di Tessa Rosenfeld Calenda per Linea edizioni; il romanzo è da poco uscito in tutte le librerie e il dibattito è già avviato.

Graffio è un romanzo pastiche che vede al centro di numerose disavventure la protagonista Nikla Poggiardo, costretta a fare i conti con se stessa e con il proprio passato; Nikla, agente immobiliare, è una donna arguta, sincera con se stessa, in un lungo flusso di coscienza che è interrotto solamente dagli assurdi stacchi relazionali che si innestano nella narrazione. Attraverso numerose cadute, che corrispondono a precise morti spirituali, il personaggio ha modo di ricostruire la propria identità, per approdare infine a una sorprendente visione felice e pacifica della sua esistenza. Tutto ciò si verifica attraverso alcune relazioni “tossiche”, intrattenute con un abbiente professionista romano (e la sua discutibile famiglia), oltre che poi con altri comprimari, di cui qui non si anticipa alcunché. Il finale sorprende, nello svelare le grandi capacità di affetto della protagonista, oltre che nella composizione di uno splendido quadro familiare che ha radici antiche, proprio in uno degli ascendenti di Nikla. La famiglia Poggiardo era stata sconvolta in passato da un severo dramma, che si ripercuote ovviamente nel presente e nel futuro delle dramatis personae.

La Rosenfeld è autrice dalla voce unica, nel senso che oggi, nel panorama letterario italiano, è raro trovare scrittrici ancora capaci di mescolare con maestria ironia e pathos, dal momento che romanzi e trame propendono per visioni contorte, quando non anche astruse. Il personaggio di Nikla scherza, si prende in giro, onesta nell’ammettere i propri fallimenti, le proprie debolezze (i disturbi alimentari), nello svelare i propri passatempi profondamente intrisi di cultura pop (dai romanzi gialli scandinavi, fino alla serie televisiva fantasy trash Il trono di spade). Graffio è un grande romanzo, completo, chiaramente anticipatorio di altri sviluppi, tanto nel segno dell’indimenticabile Nikla Poggiardo, quanto invece nel riprendere tali tematiche agrodolci ma mai sbiadite, anzi forti ed esteticamente travolgenti; buona lettura.

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