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Sta crescendo una nuova rivolta delle associazioni dei pensionati. Questa volta non contro i loro target abituali: il Movimento Cinque Stelle (M5S) ed il Partito Democratico (Pd), ma contro Fratelli d’Italia (FdI) ed in particolare la sua leader Giorgia Meloni, che in passato sono stati, per utilizzare il lessico della geopolitica, loro “alleati naturali” verso cui hanno convogliato la loro potenza di fuoco alle urne e da cui hanno sempre ricevuto supporto in Parlamento.

Il Fattore “P”, ossia il voto dei pensionati, conta e pesa. In Italia ci sono circa 20 milioni di cui circa 7 milioni con trattamenti inferiori ai 1000 euro al mese. Un terzo delle imposte viene pagato da pensionati del pubblico impiego, i quali, però, rappresentano il 17% del totale dei pensionati. Il 90% dell’Irpef  ha di recente ricordato il direttore dell’Agenzia delle Entrate, proviene da lavoratori dipendenti e pensionati. Sono numeri che contano e pesano nell’agone elettorale.

I pensionati sono particolarmente infuriati per il “raffreddamento” dell’adeguamento all’aumento del costo della vita (che scatta per pensioni superiori a 1520 euro al mese ed ora è particolarmente preoccupante dati i segnali sempre più concreti di inflazione) e per il “contributo di solidarietà” imposto alle pensioni dai 90.000 euro in su. L’oggetto del contendere nella “svolta” dei rapporti tra associazioni pensionistiche e FdI è il “contributo di solidarietà”?

Vi ricordate la battaglia di Di Maio, e dall’allora suo sodale, Di Battista che dalla Francia (in visita ai gilets jaunes) proclamarono la fine delle così dette “pensioni d’oro”? Portarono ad una norma su un “contributo” progressivo sulle pensioni superiori ai 90.000 euro, in pratica circa 30.000 anziani, con valore più simbolico che altro dato che il gettito era ed è irrisorio.

Due precedenti norme su analoghi contributi di solidarietà (legge Fornero, legge di bilancio del Governo Letta) erano state dichiarate incostituzionali dalla Consulta dato che non erano “atte a configurare l’intervento ablativo come sicuramente ragionevole, non imprevedibile e sostenibile”. La norma del Governo giallo-verde non venne bocciata interamente ma limitata a tre esercizi di bilancio proprio perché si trattasse un “taglio” emergenziale non strutturale.

Ora Giorgia Meloni avrebbe richiesto che nel maxi-emendamento di fine dicembre il contributo venisse esteso per altri tre anni, facendolo in effetti diventare “strutturale”. Se la notizia è vero e se il Governo seguirà la leader di FdI, la matassa giuridica è complessa e dovrà essere ancora una volta la Consulta a sbrogliarla.

Nel contempo, il presidente della Federspev, Michele Poerio, ha scritto sia a Giorgia Meloni sia a Mario Draghi per ottenere chiarimenti. Si potrebbe trattare di una fake news per portare via potenziali elettori a FdI.

Occorre pensare che l’Italia occupa le prime posizioni tra i Paesi sviluppati per età di pensionamento statutaria, con requisiti ben superiori rispetto alle medie Ocse (64,3 anni per gli uomini e 63,5 anni per le donne). Un’elevata età di pensionamento statutaria è giustificata dal fatto che l’Italia presenta un’aspettativa di vita tra le più alte al mondo: 85,4 anni per le donne e 81 anni per gli uomini alla nascita (al quinto posto tra i Paesi più sviluppati e di conseguenza al mondo); e un’aspettativa di vita residua a 65 anni di 22,4 anni se donna e 19,2 anni se uomo. Queste ultime sono più alte della media dei Paesi dell’Ue (21,2 anni per le donne e 17,8 per gli uomini). Tuttavia, l’età effettiva di pensionamento differisce dall’età di pensionamento statutaria a causa di agevolazioni o scivoli. Nel periodo 2013-2018, l’età di pensionamento effettiva in Italia era di 63,3 anni per gli uomini e 61,5 anni per le donne L’Italia si trova agli ultimi posti tra gli Stati sviluppati, le cui età reali di uscita dal pensionamento sono 65,4 e 63,7 anni in media, rispettivamente per gli uomini e le donne. Francia, Grecia e Spagna presentano un quadro più fosco del nostro. Ma non bisogna esserne orgogliosi.

Vie d’uscita dal labirinto pensionistico ci sono. Ma richiedono tempo e meditazione per mettere a punto un sistema simile a quello di altri Paesi: a) uno zoccolo duro finanziato dalla fiscalità generale (al posto di cose come il cosiddetto “reddito di cittadinanza”; b) uno zoccolo collegato alla retribuzione ed ai contributi effettivamente versati; c) fondi pensione fortemente incentivati (e non tartassati come propongono colleghi di partito del ministro Orlando).

I “contributi di solidarietà” non fanno che complicare il tema e rendere più difficile la strada verso un sistema previdenziale equo e sostenibile.

Contributi di solidarietà? Ecco come uscire dal labirinto pensionistico

Il voto dei pensionati, conta e pesa. E i “contributi di solidarietà” non fanno che complicare il tema e rendere più difficile la strada verso un sistema previdenziale equo e sostenibile. Il commento di Giuseppe Pennisi

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