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È una sentenza senza possibilità di appello. Sergio Mattarella non farà il secondo mandato da Presidente della Repubblica. Infastidito dalle mosse dei partiti e dai giochi di palazzo, l’inquilino del Quirinale (per la sesta e ultima volta?) che a febbraio riterrà chiusa l’esperienza da Capo dello Stato. Per alcuni, che probabilmente volevano percorrere la strada della persuasione facendo leva (anche) sulla recrudescenza della pandemia è un grosso ostacolo. Altri invece pensano che le parole di Mattarella costituiscano “un’occasione per ripensare alla durata della presidenza della Repubblica e all’opportunità del doppio mandato”. Fra questi c’è Claudio Martelli, ex vicepresidente del Consiglio, leader del Partito Socialista e protagonista della Prima Repubblica.

Martelli, a che riflessioni induce la scelta del presidente Mattarella di non fare il secondo mandato al Quirinale?

Prima fra tutti il fatto che il mandato di sette anni sarebbe da ridurre quantomeno a cinque anni. L’ideale sarebbe che il Capo dello Stato venisse eletto all’inizio e non alla fine di una legislatura e che durasse esattamente lo stesso tempo.

Le Camere tuttavia – e la storia italiana ce lo insegna – possono essere sciolte prima dei cinque anni. 

Certo, ma anche un’eventuale sfasatura temporale fra l’elezione del Presidente della Repubblica e la formazione di una nuova compagine parlamentare sarebbe sicuramente ridotta qualora il mandato fosse ridotto a cinque anni. Peraltro – fermo rimanendo che il Capo dello Stato deve essere una figura super partes – l’attuale parlamento eleggerà un presidente che si troverà a fare i conti, nel 2023, con una configurazione parlamentare molto diversa rispetto a quella attuale.

Secondo lei perché i Padri Costituenti non hanno vietato un secondo mandato?

Probabilmente perché scontavano una visione ancora molto ancorata a quella del re. Di questa cultura è figlia anche l’aura di intoccabilità che avvolge il presidente della Repubblica. Altro aspetto sul quale secondo me occorre cambiare passo.

In che senso?

Il diritto di critica si può esercitare tranquillamente anche sul presidente della Repubblica, purché si muova nell’alveo del rispetto della sua carica. Come successe in altri periodi storici a Leone e Cossiga.

C’è chi auspica l’elezione di Draghi al Colle per inaugurare una sorta di semipresidenzialismo. Lei come la vede?

Dipende da come si interpreta il ruolo del Presidente della Repubblica. Ci sono stati dei capi di Stato, a partire da Sandro Pertini, che furono molto presenti e ‘interventisti’ sulla scena politica. Ma Draghi, a mio giudizio, sta bene a Palazzo Chigi.

Dunque è d’accordo col Pd?

Su questa posizione senz’altro. D’altra parte i risultati di questo Esecutivo sono tangibili: dalla gestione della pandemia alla pianificazione economica in funzione del Piano Nazionale di Ripresa e resilienza. Il rischio dell’elezioni anticipate una volta insediato Draghi al Quirinale porta in dota una pericolosità ancor più drammatica: gettare alle ortiche quanto di buono fatto fino a ora. C’è solamente una cosa più importante di Mario Draghi in questo momento: l’unità nazionale. Senza una figura come la sua al Governo si tornerebbe alle baruffe e agli scontri politici.

Dapprima il centrodestra ha schierato il Cavaliere come ‘papabile’ per il Quirinale. Ora Salvini e Meloni sono decisamente più cauti. Si sta sfaldando qualcosa?

Più che Salvini (il quale probabilmente pensa anche all’ipotesi di Marcello Pera), direi che l’ambiguità riguarda la leader di Fratelli d’Italia. Il rischio che intravedo, nel perseguire la strada dell’ambiguità è quella di uno sfaldamento della coalizione. Anche al di là della partita del Colle. Devo tuttavia rilevare che Tajani sbaglia a proporre Berlusconi come candidato di centrodestra. Il Presidente della Repubblica deve essere una figura di garanzia, non l’espressione di un partito.

Chi è l’archetipo di Presidente della Repubblica per Claudio Martelli?

Per me nomi senz’altro spendibili per esperienza, capacità e competenza sono l’attuale guardasigilli Cartabia, Pier Ferdinando Casini e  – perché no? – Giuliano Amato.

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L’ex vicepresidente del Consiglio: “Se Meloni e Salvini continuano con questa ambiguità su Berlusconi, rischiano di sfaldare il centrodestra”. Per la presidenza della Repubblica, un ruolo ancora troppo legato a una sacralità regale, il primo nome è Cartabia

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