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Davanti a una guerra di aggressione i “se”, i “ma” e i “però” vengono dopo. Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri del Movimento Cinque Stelle, non è certo considerato un hardliner verso Mosca. In passato ha difeso strenuamente il dialogo con la Russia e non rinnega il metodo, semmai il merito. “Quello in Ucraina è un attacco ai valori europei – dice a Formiche.net dopo il discorso di Volodymyr Zelensky a Montecitorio.

Genova come Mariupol, Kiev come Roma. Zelensky ha scosso il Parlamento.

Ha fatto bene, credo sia giusto dare un volto alla guerra. Siamo circondati da commentatori che dibattono se sia meglio la soluzione x o y. Poi ci sono gli ucraini sotto le bombe.

A quale Italia parla il presidente ucraino?

A un’Italia unita nella convinzione che è in corso un’aggressione intollerabile. Credo che gli italiani ne siano consapevoli. Siamo subissati di chiamate e offerte di aiuto, c’è un moto di solidarietà per gli ucraini che non si ferma, come ogni volta di fronte a una guerra o una tragedia. C’è da essere fieri.

Draghi ha aperto all’Ucraina nell’Ue. È d’accordo?

Sì. L’Italia è da sempre promotrice di un allargamento ragionato dell’Unione europea ad Est, penso ai Balcani e ai nostri sforzi per avvicinarli. È il nostro approccio, prima ancora che con i Paesi, con i popoli vicini ai valori europei. Ovviamente un percorso di adesione ai buoni propositi deve far seguire le buone azioni, qui starà a Zelensky e i futuri governi ucraini dimostrarlo. Prima però bisogna difendere l’Ucraina e la sua sovranità.

Difendere anche con gli aiuti militari, ha detto Draghi. Uno schiaffo al pacifismo disarmato?

Una premessa: tutti conoscono le mie posizioni in passato, non mi nascondo e le rivendico. La politica ha diritto di sostenere che è sbagliato armare un Paese o allargare i confini della Nato senza riflettere sulla percezione a Est di questo, siamo in democrazia. Dalle 4 del mattino di quel giovedì però è cambiato tutto.

Come?

Semplice: dalla politica siamo passati a un conflitto armato in Europa. L’Ue deve fare la sua parte per difendere un popolo che, altrimenti, finirà massacrato. In trincea, mentre parliamo, stanno morendo. Da Roma a Kyiv sono due ore e mezzo di aereo, la guerra è in casa. Come possiamo pensare di difendere gli ucraini dai missili senza aiutarli a buttarli giù?

Poi c’è la diplomazia. Come procede?

Lo sforzo diplomatico non deve mai rimanere in secondo piano. Ma non si può negare la frustrazione della diplomazia europea: mentre Macron, Scholz, Draghi, Di Maio si spendevano per convincere Putin a tornare indietro, lui muoveva le truppe. Ci ha preso in giro tutti. Si può parlare di dialogo solo se c’è chi lo vuole davvero.

La Cina non si schiera e quando lo fa prende le difese di Putin. Inutile cercare una mediazione?

Dalla Cina ci si aspetta di più, perché ha un peso nei confronti della Russia, potrebbe rivelarsi l’ultima garanzia per l’economia russa una volta tagliata fuori dal resto del mondo. Ma dobbiamo anche conoscere la storia: i cinesi non si espongono mai se non hanno certezze, aspetteranno il momento giusto. Non è detto che i loro tempi combacino con i nostri.

Lei è una prima fila del Movimento Cinque Stelle, partito che anche sotto la guida di Giuseppe Conte si è dimostrato altalenante in politica estera. È ancora tempo di ambiguità?

Io non vedo ambiguità, ovviamente parlo a mio nome. Vedo piuttosto una propensione al multilateralismo pragmatico e ancorato all’Ue che io stesso ho professato e continuo a professare in tempi di pace. Oggi però assistiamo a un’aggressione armata che minaccia la difesa dei comuni valori identitari europei e l’indipendenza dei popoli sancita dalla carta dell’Onu.

“È colpa della Nato”, dicono in tanti negli ultimi giorni. Lei cosa pensa?

Io sono convinto, anzi straconvinto, che l’Italia debba avere un ruolo centrale, coi partner Ue, nella Nato. E credo che i Paesi dell’Est-Europa abbiano tutto il diritto di chiedere l’adesione all’Alleanza. Poi c’è la politica, che fa i suoi errori. Forse se avessimo dimostrato più saggezza nel dialogo sulle adesioni avremmo fermato prima, e con un negoziato, l’escalation russa. Ma non c’è scusa che giustifichi questa aggressione militare.

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