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Il Pnrr è affar di Stato e le imprese, da sole, possono fare ben poco. Nelle settimane in cui il governo di Mario Draghi, alla sua seconda vita dopo lo scampato pericolo del Mattarella-bis, prova a puntellare il piano italiano che vale oltre 200 miliardi di euro, una domanda più di tutte le altre sembra avere senso: ma l’Italia e il suo sistema industriale sono pronte a ricevere una tale valanga di denaro?

La risposta l’economista e docente emerito di Storia dell’economia alla Luiss Giuseppe Di Taranto ci mette poco a darla. Se c’è qualcuno che deve essere pronto, quella è la politica e chi ne tira le fila. Le aziende, da parte loro, sono pronte da tempo.

Il Recovery Plan garantirà all’Italia oltre 200 miliardi. Ma ora che entriamo nel vivo, siamo sicuri di essere pronti?

Mi scusi ma questo è semmai un problema della politica più che delle imprese. Ad oggi, quando il Pnrr è alle porte, abbiamo una politica industriale latitante e non da ieri, ma da decenni. Se devo essere onesto gli industriali, gli imprenditori, fin troppo hanno fatto fin qui. Se c’è qualcuno che deve farsi trovare preparato è il governo.

Allora qualcuno al governo dovrebbe preoccuparsi…

Direi di sì. Con una tassazione su questi livelli e una inefficienza della Pa tale, se piovono 200 miliardi non sono le imprese che debbono essere pronte ma chi questi soldi deve e dovrà gestirli.

Se ci sono delle parole di questi tempi che spaventano aziende e famiglie sono imprese e bollette. I nodi sono venuti al pettine?

L’Italia avrebbe dovuto da tempo smettere di comprare energia e qui mi ricollego all’assenza di politiche industriali. Noi avevamo il nucleare e ora non lo abbiamo più, quando poteva fare la differenza. E oggi solo il 10% del fabbisogno del gas dell’Italia è coperto da nostre risorse. Ha idea di quanto siamo esposti ai problemi esterni?

Lei ha parlato di nucleare. La Francia ha deciso di costruire nuovi reattori. Condivide?

Sì, perché ci troveremo sempre peggio. O cambiamo direzione e scegliamo la modernità o rimaniamo ostaggi dell’ideologia che finora ha imprigionato il Paese. Ed eccoci serviti a dovere, dipendenti quasi in tutto e per tutto da Paesi terzi.

Altra parolina magica: Maastricht. 30 anni fa il trattato che ha cambiato l’Europa. Ma hanno ancora senso quelle regole?

La prova che certe regole europee, in particolare quelle riconducibili al Fiscal Compact, sono sbagliate e dannose sta nel fatto che con l’arrivo della pandemia tali regole sono state sospese. Cioè, sono vincoli e norme che non reggono dinnanzi a una crisi. E allora mi chiedo se quando arriva uno schok noi queste regole le fermiamo, allora dobbiamo convincerci che sono sbagliate, non crede?

Non fa una piega. Ma faccio l’avvocato del diavolo lo stesso, c’è chi sostiene che tali regole abbiano impedito in Europa un contagio diffuso delle crisi dei debiti sovrani.

Non è vero e se mi permette è un alibi. Glielo dimostro. Nel 2019 Draghi sosteneva che il debito italiano è sostenibile, cioè l’Italia è in grado di ripagare chi presta denaro. E oggi noi facciamo debito per crescere quindi qualcuno mi spieghi perché dovremmo essere contagiosi per chicchessia. L’austerità è solo un alibi per impoverire i Paesi del Sud Europa.

Maastricht, le bollette e l'ora della politica. Parla Di Taranto

Intervista all’economista, saggista e docente: se c’è qualcuno che deve farsi trovare pronto per ricevere e maneggiare i fondi dell’Europa quello è il governo, perché gli imprenditori già troppo hanno dato. L’Italia paga in bolletta anni di ideologia e veti, ora serve più nucleare per sopravvivere. Maastricht? Regole non hanno mai avuto senso, non servivano 30 anni per capirlo

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