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La crisi in Etiopia, il golpe in Sudan, le instabilità nel Sahel (Ciad e Mali, ma anche il Niger), i disequilibro in atto nel Nordafrica (la Libia, ma anche le tensioni tra Algeria e Marocco, la debole Tunisia e le complessità egiziane), lo sviluppo rapido e potenziale di alcuni Paesi ancora afflitti da profonde incoerenze. La prima visita del segretario di Stato statunitense, Anthony Blinken, in Africa era programmata per questa estate, ma è stata anticipata — da lunedì 15 al 20 novembre.

Circostanze e strategie, stretto e lungo termine, di cui Formiche.net parla con William Wechsler, direttore del Rafiki Center dell’Atlantic Council, il quale fa notare che Blinken visiterà il Paese più importante dell’Africa orientale, il Kenya, e il Paese più importante dell’Africa occidentale, la Nigeria — mentre non visiterà l’Africa meridionale o settentrionale.

”Blinken — spiega Wechsler — si concentrerà sulla grande sfida nel continente: incoraggiare le democrazie in un’epoca di crescenti colpi di stato. Le questioni più urgenti nel suo viaggio saranno in Oriente, dove il colpo di stato del Sudan e la guerra civile dell’Etiopia stanno minando gli obiettivi degli Stati Uniti e causando enormi disastri umanitari”.

Sudan prima ed Etiopia poi sono state le ragioni di un interessamento crescente sul continente che Washington ha fatto registrare nelle ultime settimane, con l’inviato speciale per il Corno d’Africa, Jeffrey Feltman, attivissimo per facilitare contatti ed evitare escalation. “È tristemente possibile ora immaginare uno scenario in cui il resto della regione si unisce alla Somalia come una serie di stati fondamentalmente falliti, con tutte le minacce che inevitabilmente emergono da tali disastri: il segretario Blinken cercherà di invertire queste tendenze”, aggiunge il think tanker americano.

La “regione” in questione è il Corno d’Africa, un’area altamente strategica anche per l’Italia, come spiegavano su Formiche.net la viceministra degli Esteri italiana, Marina Sereni, e l’attuale rappresentante Ue per il Sahel, Emanuela Del Re. Un’area piena di turbolenze (oltre al Tigray, le dispute attorno alla diga Gerd per esempio) e dove molte potenze e medie-potenze hanno allungato i propri interessi.

È notevole che il segretario Biden stia visitando l’Africa durante il suo primo anno di mandato: nessuno dei segretari di Stato del presidente Donald Trump (né Rex TillersonMike Pompeo) hanno visitato l’Africa (Egitto a parte) durante il primo anno in carica, fa notare Wechsler; al contrario, entrambi i segretari del presidente Barack Obama — Hillary Clinton e John Kerry — hanno viaggiato nel continente durante i loro primi anni.

“L’attenzione delle amministrazioni democratiche all’Africa riflette meglio una corretta valutazione degli interessi degli Stati Uniti”, spiega Wechsler — che ha avuto incarichi governativi sia con l’amministrazione Obama che con quella Clinton. “L’Africa è molto grande, molto più grande di quanto la maggior parte degli americani apprezzi dalle loro mappe di Mercatore, e mentre ci sono punti in comune a livello continentale, è spesso più appropriato valutare i problemi a livello regionale o nazionale”.

Quali sono dunque gli interessi strategici degli Stati Uniti in Africa? “Mentre è vero che gli Stati Uniti non hanno interessi esistenziali nell’Africa subsahariana — risponde — gli Usa hanno altri interessi, tra cui crescenti interessi economici, dati gli impressionanti tassi di crescita in alcune parti dell’Africa; umanitari, dati i conflitti in diverse aree; antiterrorismo, data la crescita dell’Isis e la potenza persistente di Al Qaeda e Shabbab; interessi legati ai valori, date le sfide al governo democratico e le minacce ai diritti umani; e infine una serie di interessi geopolitici, dato il crescente e spesso dannoso coinvolgimento di potenze esterne nel continente, comprese a volte sia la Russia che la Cina”.

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