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Con l’assunzione ormai chiara dell’Indo Pacifico come regione di mondo da cui passerà il futuro delle dinamiche internazionali e dello sviluppo demografico-economico, e con l’area Transatlantica che resta il centro del presente, emerge con maggiore consistenza la centralità geo-strategica del Mediterraneo allargato. Sono per esempio le rotte Suez-Bab el Mandeb destabilizzate dagli Houthi a dimostrare come senza questo fulcro di interconnessione tra le due regioni, l’Europa (polo transatlantico) resta isolata dall’Asia, e le rotte geo-economiche che disegnano la nuova globalizzazione – anche connessa ai concetti di de-risking e di sviluppo in vari Paesi del mondo – fanno emergere concetti come quello di “Indo Mediterraneo” o “Med-Atlantic”.

E se è certo che le regioni degli oceani Indiano, Pacifico, Atlantico e quella del mar Mediterraneo hanno problemi di sicurezza o vincoli economici differenti, è altrettanto vero che gli attori politici che si affacciano su queste due regioni hanno fatto passi importanti verso l’integrazione nel recente passato. Integrazioni che sono sia di carattere politico e ideologico, come dimostra ad esempio l’interessamento del Giappone o della Corea del Sud ai destini dell’Ucraina invasa dalla Russia; sia di tipo economico, commerciale, infrastrutturale (e culturale, anche tramite ad accordi di scambio accademico e scientifico).

“Med-Atlantic” e “Indo-Pacific”, per dirlo con le definizioni anglosassoni che si stanno difendendo, ormai condividono le preoccupazioni per la sicurezza energetica, per gli investimenti nei collegamenti (l’Imec ne è esempio) e sull’autonomia strategica in un periodo di crescente competizione tra potenze. Come possiamo creare un partenariato per garantire un commercio vitale tra queste zone? La priorità politica per rafforzare i legami è evidente ed è ricambiata sia dall’Unione europea che dall’India”, ha detto, durante un panel organizzato nell’ambito del Raisina Dialogue di New Delhi, Arancha Gonzalez, dean della Parsi Scool of International Affairs di SciencesPo: “C’è però [per ora] più spazio per lavorare nella sfera economica. [Ma] la volontà politica può contribuire ad alimentare legami commerciali più profondi”, aggiungendo che l’Europa potrebbe essere la componente fondamentale per rendere l’India un’economia da “mille miliardi di dollari”, ma per farlo serve la creazione di accordi commerciali tra Ue, India e regione del Golfo.

“I progetti di sviluppo non dovrebbero essere ritardati in previsione di un scenario geopolitico più favorevole”, ha aggiunto Ebetsam al Ketbi, direttrice dell’Emirates Policy Center, intervenendo sempre nello stesso panel moderato da Symeon Tsomokos, Founder and President, Delphi Economic Forum. È noto, dimostrato anche dall’accordo quadro firmato durante la recente visita del primo ministro indiano Narendra Modi ad Abu Dhabi, che gli emiratini (così come i sauditi) sono fortemente interessati a condividere con l’India questi collegamenti intermodali tra la regione del Golfo e l’Oceano Indiano antistante. Ed è altrettanto noto che il principale di questi progetti, che scorre attorno al Corridoio India-MedioOriente-Europa (noto con l’acronimo Imec), resta tra le priorità strategiche comuni alle regioni interessate, nonostante la guerra esplosa nella Striscia di Gaza dopo l’attentato di Hamas del 7 ottobre scorso abbia complicato la situazione.

Lo conferma nello stesso contesto Federico Banos-Lidner, vice presidente per le relazioni esterne di DP World, colosso emiratino della logistica portuale. “Imec è un ottimo esempio di cooperazione di fronte alle sfide. I Paesi lungo il corridoio apprezzano la loro autonomia strategica, ma accettano anche di fornire le garanzie economiche e politiche che consentiranno al corridoio di funzionare”, dice, sostenendo che certi progetti sono potenziali “game-changer”, perché creeranno “ponti”. E Banos-Lidner fa anche un’importante riflessione: “Il costo dello sviluppo rappresenta una sfida fondamentale poiché non è ancora chiaro chi ne pagherà il conto”.

Per Rosa Balfour, ciò che comunque emerge è “una ricerca genuina e condivisa per cambiare i modelli di interdipendenza nel mondo che abbiamo avuto finora, perché c’è il riconoscimento che l’autosufficienza non è un obiettivo praticabile”. È un avviso ai naviganti verso rotte isolazioniste: c’è una parte di mondo che sta vivendo la sua chance di partecipare attivamente, da protagonista, alla nuova globalizzazione che si sta costruendo e vuole sfruttare tutte le carte a disposizione. “È necessario – aggiunge Balfour – scomporre la conversazione e capire quali sono gli interessi fondamentali che uniscono i partner”.

Sintesi offerta durante quello stesso panel da Stefano Sannino, segretario generale dello European External Action Service: “Ci sono diverse nuove sfide che dobbiamo affrontare insieme: il cambiamento climatico, l’impatto della digitalizzazione e la complessa sicurezza geopolitica ed economica. Ciò richiede approcci concertati, cooperativi e inclusivi”. Anche perché sono sempre più ampie le correlazioni inter-tematiche e internazionali su certe questioni. Per Sannino, “dobbiamo definire elementi di regole globali e accettare le sfumature e le differenze esistenti gestendo le conseguenze delle stesse”.

Dall’istruzione al turismo, fino ai permessi di lavoro a breve termine; dalle sicurezze economiche a quelle geopolitiche sempre più interdipendenti; dall’integrazione commerciale agli interessi dei grandi gruppi industriali e dei governi, c’è un interesse profondo e articolato nel potenziare queste interazioni. Interesse che si lega a una scommessa sui vantaggi economici e sullo sviluppo di ampie regioni di mondo – anche afferenti al cosiddetto Global South, ormai destinato a occupare con sempre maggiore centralità l’agenda degli affari internazionali, anche per la volontà di essere interconnesso a quello che è per ora considerato il “Nord”.

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