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Arrivato alla Nuvola, il presidente, turco Recep Tayyp Erdogan, è stato accolto dalla stretta di mano di Mario Draghi, presidente del Consiglio italiano e soprattutto in quel consesso ospite del G20. L’agenda dei bilaterali diffusa da Palazzo Chigi dava appuntamento per l’incontro tra i due alle 14, poi slittato di un paio d’ore. Al di là dei convenevoli diplomatici che affidano stessa rilevanza a tutti i summit, la riunione è il principale appuntamento odierno per l’italiano, non solo perché arriva a pochi mesi di distanza da quel “dittatore” uscito dalla bocca di Draghi nei confronti del turco, ma soprattutto perché Roma e Ankara sono i due grandi poli del Mediterraneo. Potenze regionali non solo economiche ma geopolitiche, le cui attività si sovrappongono in diversi ambiti di proiezione internazionale, dal Nordafrica ai Balcani, dal Corno d’Africa al Medio Oriente.

Il linguaggio del corpo ricorda al mondo il pensiero dei leader — quello più intimo, al di fuori (ancora) dei convenevoli. Erdogan ha titubato nel porgere la mano all’italiano, ma alla fine la stretta c’è stata. In un’atmosfera certamente più fredda di quella riservata, e ricambiata, a Joe Biden. D’altronde, se per l’americano l’allineamento delle democrazie è il principale vettore degli affari internazionali, Draghi è non solo un simbolo, ma una sponda reale. Differentemente Erdogan, guida di una democratura, cerca di trasmettersi ai Paesi terzi con cui imbastisce relazioni come modello alternativo a quell’Occidente di cui ne è solo parzialmente parte.

Le fonti a conoscenza delle discussioni dicono che c’è stato un “costruttivo scambio di vedute”, e che si è parlato anche del modo di “rafforzare le relazioni bilaterali”. Tra i temi l’Ue, in particolare le relazioni tra Bruxelles e Ankara; argomento da cui erano scaturite le tensioni di aprile, quando Draghi aveva usato la retorica forte con Erdogan, che aveva ospitato un vertice con i leader dell’Ue in cui la presidente dell’Unione, Ursula von der Leyen, era rimasta senza una sedia. Fu definito “sofagate”, e sempre per restare sui linguaggi del corpo era anche un altro modo per marcare distacco da quel modello di mondo che la tedesca in quel momento rappresentava. Da registrare che al G20 c’è stato anche l’incontro, con stretta di mano annessa, tra il premier turco e von der Leyen, prima occasione dopo l’episodio sconveniente.

Draghi e Erdogan hanno parlato anche di Afghanistan e soprattuto di Libia, uno di quei dossier geopolitici in cui Italia e Turchia si trovano in sovrapposizione. Roma ha sempre sostenuto il governo onusiano di Tripoli che ha contribuito a creare (e ha fisicamente portato nelle sedi istituzionali nel 2016), ma quando serviva un coinvolgimento in più la Turchia ha compiuto uno scatto. Finito sotto le bombe del capo miliziano della Cirenaica, Ankara ha inviato un contingente militare ibrido che ha difeso la capitale salvandola dalla capitolazione. Se ci si trova al punto in cui siamo, con il Paese avviato verso una — seppure complicata — forma di stabilizzazione è grazie a quell’intervento che ha respinto gli aggressori costringendoli al cessate il fuoco. Vero questo, è altrettanto vero che la Turchia ha sfruttato l’opportunità e per regolare i conti con i nemici intra-sunniti che sostenevano l’Est libico e per incunearsi strategicamente in mezzo al Mediterraneo. Il ruolo italiani, con contatti dialoganti su entrambi i fronti in guerra, è visto anche come una forma di equilibrio davanti alle pretese turche. E la Libia è il più paradigmatico dei dossier tra Italia e Turchia, dove entrambi i Paesi hanno i propri interessi nel mantenere il quadrante mediterraneo sotto controllo.

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