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Oggi domenica 31 ottobre, il Giappone sceglierà un nuovo Parlamento, dopo le dimissioni del premier Yoshihide Suga e la convocazione di elezioni anticipate. In quello stesso giorno, il primo ministro corrente, Fumio Kishida, sarà a Roma per partecipare al G20. Sdoppiamento necessario per portare avanti affari interni, fattore imprescindibile per spingere la proiezione internazionale che Tokyo sta costruendo.

L’ultimo sondaggio pubblicato dall’Asia Nikkei sostiene che il Partito liberaldemocratico — quello di Suga e Kishida — giapponese faticherà ad ottenere una maggioranza assoluta di più di 233 seggi alla Camera dei rappresentanti. La formazione politica può contare su una maggioranza netta in quasi il 60 per cento dei seggi uninominali, ma nei seggi assegnati con il proporzionale non è chiaro se riuscirà a ottenere i risultati attuali.

Stando al sondaggio della Nikkei, la capacità dei liberaldemocratici di ottenere una maggioranza autonoma alla Camera dipende del risultato del Partito costituzionale democratico (Pcdj). La principale forza di opposizione è guidata dal progressista Yukio Edano, alleato con altre quattro forze politiche di opposizione, tra cui il Partito Comunista del Giappone. Tra il programma di governo proposto dal blocco c’è l’aumento della rappresentazione parlamentare con altri due nuovi partiti, il liberale Reiwa Shinsengumi, con l’attore Taro Yamamoto come leader, e il nazionalista Partito dell’Innovazione.

Con circa il 71 per cento della popolazione vaccinata, e un minimo storico di contagi di Covid-19, il Giappone è concentrato sulla ripresa economica — spinta per lo slancio geopolitico che Tokyo intende darsi sfruttando soprattutto l’attenzione di cui il dossier Indo-Pacifico, idea degli strateghi nipponici, sta avendo sul piano delle relazioni internazionali.

Il Partito liberaldemocratico propone di diffondere l’uso di antivirali orali entro la fine del 2021, e offrire sostegno economico ai cittadini più colpiti dalla pandemia. Kishida ha promesso un nuovo pacchetto di stimoli, per “decine di migliaia di milioni di yen”, e una miglior distribuzione delle ricchezze tramite la riforma fiscale. In materia di energia, vogliono riattivare le centrali nucleari del Paese e aumentare l’uso di energia rinnovabili. L’aspetto energetico è un fattore di distanza con il Pcdj, che propone più ideologicamente la chiusura del programma nucleare — risorsa la cui implementazione invece potrebbe rendere il Giappone più autonomo nei bilanciamenti del mix energetico.

Mentre i giapponesi si preparano per il voto, gli esperti guardano con attenzione un fenomeno che potrebbe essere decisivo nel risultato elettorale: il divario tra il pensiero degli elettori dei grandi centri urbani e le zone rurali. Un interessante reportage del The New York Times spiega come, e perché, i cittadini delle aree meno popolate ottengono più attenzione da parte dei politici, e come questo può influire nelle sorti del Paese.

“In Giappone i voti rurali contano più degli urbani – scrive il Nyt – il che dà alle aree meno popolate come Chizu un numero spropositato di seggi in Parlamento, e più opportunità di esprimere le loro preoccupazioni con i politici nazionali”. Yusaku Horiuchi del Dartmouth College spiega che gli elettori rurali privilegiano i politici più vecchi e conservatori, quasi sempre del Pld, che mantengono lo status quo.

Si tratta di dinamiche interne fondamentali per delineare gli scenari che stanno dietro alla terza economia del mondo, nonché una delle più importanti potenze tecnologiche globali. Ruolo che il Giappone rivendica all’interno di strutture come il G20 — ambito che Tokyo considera come proiezione essenziale degli spazi che si è creato nel G7, ambiente multilaterale prediletto dai giapponesi, usato per coordinare le proprie politiche globali e le proprie priorità con quelle delle altre grandi potenze economiche occidentali, privo com’è di ruoli determinanti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

È nel G7 gioca la carta di unico paese asiatico, e dunque portavoce delle questioni che riguardano l’enorme areale geopolitico che l’Indo Pacifico rappresenta. È qui che cerca di sfruttare questa elitarietà nei confronti dei membri asia-pacifici del G20 (Australia, India, Indonesia, Cina, Corea del Sud), davanti ai quali rivendica la posizione di bastione occidentale in estremo oriente. Posizione che lo ha visto inizialmente scettico nei confronti di un sistema come il G20 che includeva anche la Cina e lo limava degli spazi da protagonista.

Questa visione è stata in buona parte invertita durante i governi di Abe Shinzo, che ha iniziato formalmente il (ri)lancio giapponese sul piano internazionale. Rilancio seguito da Suga e Kishida perché componente strategica, dunque non collegata alle peculiarità politico-elettorali. Il G20 è diventato per Tokyo una piattaforma utile per muovere i propri interessi internazionali, per diffondere davanti ai leader delle più forti nazioni del mondo il proprio modo di concepire gli affari globali.

In quest’ottica l’appuntamento romano diventa importante per fare una ricognizione sul Trans-Pacific Partnership, così come quello di Osaka del 2019 lo è stato per definire parti dell’Accordo di Partenariato Economico con l’Ue. Allo stesso tempo diventa un momento per testare l’esposizione al rivale geostrategico di riferimento, la Cina, sia davanti agli alleati americani e agli europei, sia guardando in faccia gli altri grandi del mondo. Paesi che vanno dall’India che recentemente ha sfiorato la guerra con i cinesi sull’Himalaya alla Russia, che invece si mostra sempre più coordinata nell’ottica di un scontro tra modelli che antepone le democrazie agli autoritarismi.

Sul tavolo, nella pratica, Tokyo porta elementi di interesse diretto, come la regolamentazione del settore fintech e dell’economia digitale (già oggetto dell'”Osaka Track“) o gli interessi sulla pesca e sulla conservazione dei mari (biodiversità, inquinamento, sfruttamento, tutto allineato con le visioni green del momento), così come quelli connessi allo sviluppo delle nuove tecnologie; oppure ancora la libertà di commercio (che significa anche libertà nei colli di bottiglia dell’Indo Pacifico, come lo stretto di Tsugaru, recentemente oggetto delle provocazioni sino-russe) e la collegata necessità di creare architetture di sicurezza (che adesso per Tokyo passano anche per un proprio riarmo).

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