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Le missioni internazionali sono sempre state circondate da un alone di mistero, che a volte alimenta a dismisura la fantasia dei geopolitici fai da te. Intendiamoci, qualche motivo per questa rincorsa annuale a al toto-missioni in effetti si può anche comprendere, se non giustificare.

La procedura per la loro determinazione è lunga e farraginosa, l’argomento è tra quelli meno graditi dalla politica, in quanto prevede “spese per la Difesa” che invece sarebbe più popolare ridurre al minimo o, magari, azzerare.

Pochi anni orsono qualche buontempone, infatti, ha portato come esempio da imitare la Costarica, dove si vive benissimo anche senza le Forze Armate. Ci sono i Vigili Urbani, pochi, ma questo, dicono, basta e avanza.  Altro fattore che induce ritardi decisionali, a volte anche preoccupanti, è che l’argomento  –  in questi tempi in cui vige il politicamente corretto – è piuttosto sdrucciolevole ed un infortunio può far perdere secchiate di voti.

Essendo poi l’unica occasione nell’anno in cui, a malavoglia, in sede parlamentare si affrontano problemi che riguardano la Difesa, occorre che chi si pronuncia lo faccia con un’attenzione semantica piuttosto faticosa.

Ad esempio, i ritardi con cui trent’anni orsono abbiamo affrontato ciò che dovevano fare davvero i nostri Tornado in Desert Storm, pur già rischierati e dipinti con camouflage color sabbia, con appese cinque bombe da mille libbre sotto la pancia, hanno rischiato almeno in un paio di occasioni di sentirci dire “no, grazie, sarà per un’altra volta, ora tornate pure a casa…”.

Poi, genialmente, invece di fare la guerra abbiamo svolto un’”operazione di polizia internazionale”, e tutti (tranne che Bellini e Cocciolone) sono rimasti contenti. In questo clima quindi, la fantasia vola a briglia sciolta.

Meraviglia però che ciò stia accadendo anche in questo 2021, dove il ministro Guerini, che sa bene come le Forze Armate siano il più eloquente strumento di politica estera, sta facendo le cose per bene e per tempo. “La missione in Libia raddoppierà”, è stata l’ultima boutade mediatica di non-si- sa-chi.

Eppure, in consiglio dei Ministri si è già votato il rinnovo della Missioni Internazionali  ed il provvedimento  è già in fase di calendarizzazione per la discussione parlamentare. Il contenuto, in sintesi, fa parte di un comunicato del Consiglio del 18 giugno scorso e chiunque lo può leggere in reta.

Certo, la Libia è citata come vertice di un immaginario triangolo africano di interesse nazionale, i cui lati, transitando dal Sahel, congiungono la “quarta sponda” di antica memoria al Corno d’Africa ed al Golfo di Guinea, transitando per il Sahel. Quindi la Libia c’è (e non potrebbe non esserci), ma di raddoppio della nostra presenza non se ne parla affatto.

Anzi, lo Stato Maggior della Difesa, di solito assai parco in termini di comunicati (solitamenta appannaggio del Gabinetto del Ministro o dei Sottosegretari), smentisce categoricamente con espressioni inequivocabili, definendo queste news “informazioni destituite di ogni fondamento.

In atto non c’è alcuna interlocuzione con le autorità libiche finalizzata all’aumento del contingente nazionale come ipotizzato da fonti non qualificate”. Si fa poi riferimento al triangolo cui abbiamo già fatto cenno, aggiungendo che “come deliberato dal Consiglio dei Ministri nell’area africana saranno dispiegate 17 missioni (su un totale di 40, ndr) a conferma della strategia italiana volta a promuovere una maggior attenzione verso sud”.

A proposito della Libia, dove la presenza italiana si assesta su 250 unità su un massimo autorizzato di 400, il comunicato afferma che “…..il mantenimento della pace rappresenta una priorità per sostenere al meglio l’iniziativa delle Nazioni Unite di accompagnare il Paese alla stabilità”.

Tutto chiaro, ma resta la curiosità di capire l’origine della presunzione del “raddoppio”. Qui la fantasia che galoppa è la nostra, perché osiamo associare l’ultima frase della nota di Smd appena citata alle tante cose dette e proposte alla Conferenza di Berlino sulla Libia del 23 giugno scorso.

Sono stati in molti ad intervenire autorevolmente, e qui ci limitiamo a citare Angela Merkel, Antony Blinken, il ministro tedesco Heiko Maas, il Segretario Generale dell’Onu (in video) Antonio Guitierres, il suo vicesegretario Rosemary Dicarlo, l’alto rappresentante Ue Josep Borrel, il ministro libico  Najla al- Mangoush. A fattor comune, il mantra è stato: “In Libia le libere elezioni del dicembre prossimo dovranno essere la chiave di volta della soluzione.

Perché ciò sia possibile è importante che tutta le forze straniere si ritirino dal Paese. Sarà necessaria una piena attuazione della tregua tra le milizie locali e la presenza di osservatori imparziali inviati dall’Onu”.

Cucendo tutto ciò con le parole del presidente Draghi al Senato, dove, sollecitado l’Unione Europea a prendere posizione sulla Libia, rammentando che Gli Stati Uniti preferirebbero non farsi coinvolgere in quella parte del mondo, affermando che l’Italia ha “parecchie carte da giocare” nel settore, ha lasciato comprendere una sorta di disponibiità a qualcosa che assomigli ad un forte contributo italiano per l’ordine e la pace.

Che ci sia un condiviso orientamento a predisporre una fotocopia di Unifil libanese a favore della pace e dell’ordine in Libia? Potrebbe essere questo il segreto sottopensiero di chi ha originato le voci del nostro raddoppio?  Vedremo, dicembre si avvicina.

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