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Stringono i ranghi, e pure i denti. I partiti italiani dovranno fare i conti con Mario Draghi ancora a lungo. C’è chi come la Lega gli ha già comprato un biglietto per il Quirinale, chi invece lo vuole imbullonare a Palazzo Chigi fino a fine legislatura. Ma nessuno, oggi, può farne a meno. Così come non si farà a meno di Sergio Mattarella che, ci sussurra Marcello Sorgi, editorialista e già direttore de La Stampa, è sempre più quotato per un bis al Colle.

Chi vuole far traslocare Draghi al Quirinale?

Finora sono usciti allo scoperto solo Brunetta e Salvini. C’è un’insofferenza verso il sistema Draghi e in fondo è normale. Per quanto si sforzi di non esagerare, il premier ha dimostrato di saper fare politica. Dal coprifuoco alle nomine, la decisione finale è sua, non dei partiti.

Quanto resiste l’equilibrio?

Tanto. I partiti polemizzano, si fanno i dispetti. Ma sanno che Draghi è l’uomo che ha in mano le chiavi del Recovery Fund, e non ha intenzione di consegnargliele.

Eppure Salvini lo ha detto chiaramente: Draghi è un buon candidato per il Colle.

Io ci vedo un possibile do ut des: io ti mando al Quirinale, tu sciogli le camere. Non credo sia così semplice. Se Draghi dovesse salire il Colle, lo farebbe in nome di una maggiore stabilità, non per aprire una nuova campagna per le politiche, nel bel mezzo dell’attuazione del Recovery Fund.

Anche all’estero non capirebbero il trasferimento.

Esatto. I giornali stranieri descrivono Draghi come l’ultimo argine alla Troika in Italia, l’uomo del debito buono. Nel momento stesso in cui lascia il governo il debito diventa cattivo e tutti ce ne chiederebbero conto.

Enrico Letta invece vuole Draghi fermo a Palazzo Chigi fino al 2023.

È comprensibile. Se questa legislatura finisse anticipatamente, con questa legge elettorale, il centrodestra probabilmente vincerebbe le elezioni. Letta sa fare i conti, ad oggi il centrodestra ha quasi il 50% dei consensi, e una coalizione opposta non esiste, resta un desiderio. Da buon professionista della politica prende tempo, e spera che intanto le cose cambino.

Quanto pesa il risiko Quirinale sui subbugli della politica?

Per ora poco, i partiti hanno gli occhi fissi sulle amministrative. Da questa partita, d’altronde, dipende anche quella del Quirinale. Serviranno a pesare le forze in campo. Per eleggere il capo dello Stato serve una maggioranza che finora non ha nessuno. Forse solo il centrodestra insieme a Renzi, ma non sarebbe comunque tutelato dai soliti franchi tiratori.

E il centrosinistra?

Ha già una decina di candidati, peccato che non abbia i voti sufficienti. Lo scenario è simile all’elezione di Napolitano. Ma i tempi sono cambiati. Oggi è davvero difficile immaginare un pezzo di centrodestra votare entusiasta un presidente di centrosinistra, e viceversa.

Insomma, sarà un parto.

L’unica via d’uscita è prendere atto che non ci sono le condizioni per eleggere un presidente alla prima votazione e con un’ampia maggioranza. Meglio capirlo prima del voto, come successe con Cossiga. O quando Veltroni capì che si sarebbe schiantato e fece con intelligenza un passo indietro aprendo la strada a Ciampi.

Scandali nella magistratura, lotte intestine nei Servizi. Sono anche questi i postumi dell’arrivo di Draghi?

Non credo. Dopotutto gli scandali fra toghe covavano da prima del suo insediamento, ora stanno solo esplodendo. Lo stesso vale per i Servizi: è da un pezzo che li volevano mettere a  posto, ogni tanto è giusto farlo. Da Gabrielli alla Belloni, Draghi ha scelto tecnici ai vertici dell’amministrazione ma con una sensibilità politica che non si trova in tutti i funzionari…

Tra capo e Colle. Sorgi spiega il risiko Quirinale

Salvini vuole Draghi al Quirinale, Letta lo vuole imbullonato a Palazzo Chigi. La partita del Colle inizia a togliere il sonno alle segreterie dei partiti. Che un po’ soffrono il premier venuto da Francoforte, ma non possono più farne a meno. Parla Marcello Sorgi, editorialista e già direttore de La Stampa

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