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“Enough is enough” direbbero gli inglesi. Il troppo storpia, altera la realtà dei fatti e soprattutto trasforma la narrazione storica in retorica, le valutazioni in slogan faziosi, la critica in propaganda.

E’ vero, da qualche anno alcune cabine della nave polacca navigano al buio. Il covid ha messo a dura prova il sistema sanitario del Paese, la campagna di vaccinazione procede a rilento, a differenza dell’elevato tasso dei contagi (circa 35.000 al giorno) e dei decessi (in media 400-500), la  disoccupazione è in aumento, il braccio di ferro con l’Europa continua, così come la crisi che scuote la casa del PiS.

Inoltre, un’ulteriore flessibilizzazione del mercato del lavoro appare un inevitabile anatema, considerato che quasi un terzo degli imprenditori intervistati sostiene di avere in programma l’automatizzazione della produzione a discapito del personale. In buona sostanza, gli scudi governativi non basteranno a tamponare l’emorragia dei licenziamenti.

E’ vero, il ministro della Giustizia Zbigniew Ziobro, esponente della coalizione di governo e al contempo fattore destabilizzante dell’esecutivo, usufruisce dell’Istituto di cultura giuridica “Ordo Iuris” per mettere in discussione le direttive della Commissione Europea, al fine di rafforzare l’euroscetticismo che trova terreno fertile nel senso comune, anche grazie ad alcune sfumature dell’atavico nazionalismo.

Ma ridurre la realtà polacca al capitolo perduto del 1984 di Orwell è un’esagerazione. Invece di esorcizzare il problema, si rischia di acuirlo. La Polonia è ancorata al sistema NATO, resta uno dei primi partner commerciali della Germania e l’intento di invigorire il legame con la tradizione umanistico-romana è una chiara presa di posizione.

L’accusa di non aver digerito il meccanismo di condizionalità del bilancio dell’Unione Europea, che subordina l’assegnazione dei fondi alla qualità dello stato di diritto nei singoli stati membri, è fondata.

Ma è anche vero che la Commissione Europea, nel 2019, si è guardata bene dall’intervenire con la stessa veemenza, quando la Spagna ha rifiutato di conformarsi alla sentenza della CGUE riguardo un deputato catalano, il quale nonostante avesse ricevuto il via libera per adempiere al suo mandato all’interno del Parlamento Europeo, è finito ugualmente in carcere sul suolo ispanico.

E’ vero, il Sejm ha deciso di sottoporre alla Commissione Affari Esteri e alla Commissione Giustizia e Diritti Umani la proposta di legge, redatta da Ordo Iuris  e dal Congresso Sociale Cristiano, contenente la sostituzione della Convenzione di Istanbul con la Convenzione sui diritti della Famiglia. Una proposta firmata da ben 150.000 cittadini.

Nessuno intende negare il deficit democratico che ostruisce il sistema d’informazione nazionale, quello giudiziario e quello politico. Tuttavia è giusto mettere i puntini sulle “i”, smussando l’enfasi nel descrivere le regressioni del modello polacco.

In primis, sebbene il partito di Jarosław Kaczyński goda dell’appoggio della Chiesa, degli enti nazionali di ricerca, di alcune della maggiori fondazioni pubbliche e private, della tv di Stato, non è certo il partito unico di Władysław Gomułka. Il dissenso esplode nelle piazze quando si tratta di difendere i diritti delle donne e della comunità Lgbt, persino a Białystok dove i gruppi ultranazionalisti prosperano indisturbati, si sono tenuti vari pride; le due testate più importanti (Gazeta Wyborcza e Rzeczpospolita) ospitano quotidianamente articoli critici verso l’azione di governo, idem TVN.

Ancora Porozumienie, il partito di Jaroslaw Gowin, pone la necessità di una ridefinizione del centro-destra, incalzando i membri di “Diritto e Giustizia” per l’adozione di un conservatorismo moderno e compassionevole, capace di proiettare il Paese sul piano della green economy e della decentralizzazione del potere statale, come affermato nella convention della scorsa settimana. Ergo, la coalizione di governo non è diretta solo da antieuropeisti e sovranisti incalliti.

Oltretutto, le grandi città polacche sono governate da sindaci progressisti; a Danzica Aleksandra Dulkiewicz ha preso il posto di Paweł Adamowicz, il primo cittadino assassinato il 14 febbraio 2019 dal nazionalista Stefan Wilmont, mentre al timone di Varsavia troviamo il liberale Rafał Trzaskowski, ex sfidante del Presidente Duda.

In più, è giusto evidenziare il miracolo economico realizzato nel corso degli ultimi trent’anni.

Oggi l’industria energetica polacca è sulla buona strada, come afferma e dimostra in un’intervista Grzegorz Należyty, Ceo di Siemens Energy, la cui società è pronta a offrire impianti che permettono la co-combustione di gas e idrogeno. La Polonia ha lanciato una nuova strategia energetica al 2040, che include la decarbonizzazione entro il 2050, accorciando le distanze dal tanto agognato idrogeno verde. A tal proposito l’invito di Joe Biden a partecipare alla riunione del 22 aprile, cinquantunesima Giornata della Terra,  è un chiaro segnale che, nel contesto delle relazioni con gli Stati Uniti, risulta indispensabile  ripensare l’approccio della Polonia alla protezione del clima.

Stando alle previsioni degli economisti, nel 2021 le esportazioni saranno il motore principale della ripresa economica in Polonia, potendo contare su una crescita del PIL del 4%, e sull’aumento dell’export oltre il 6%.

Secondo le analisi dell’Istituto economico polacco (PIE), l’impulso allo sviluppo delle esportazioni si è rivelato molto maggiore nelle imprese con capitale esclusivamente polacco.

Quindi, arriviamo al sodo. E’ giusto puntualizzare: la “Grande Martire” non è solo manganelli e vetrine sfasciate, come la Germania non è solo il palcoscenico di Alternative für Deutschland. Un sistema complesso caratterizzato da intricate degenerazioni, merita un’analisi complessa. La Polonia interpreta un ruolo fondamentale nella compagine europea e nelle relazioni con Washington. Machiavelli scriveva “meglio città guasta che perduta”, perciò diviene inopportuno scomodare Orwell ogni qualvolta si verifica un cortocircuito in una realtà democratica.

A Varsavia due più due non fa cinque.

La Polonia non è solo manganelli e vetrine sfasciate

È vero, una parte del governo soffia sull’euroscetticismo, propone leggi che limitano i diritti civili e rendono più precario il mercato del lavoro. Ma l’opposizione c’è e si fa sentire. Il Paese cresce e investe nel futuro, e ha un ruolo fondamentale in Europa e nelle relazioni con Washington. La visione non solo catastrofista di Giulia Gigante, consulente di Lewica, partito di orientamento socialdemocratico, socialista ed europeista

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