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I sì sono stati 599. I no 30. Le astensioni 58. Il Parlamento europeo riunitosi in sessione plenaria ha deciso, ad ampia maggioranza, di mettere nel congelatore l’accordo sugli investimenti con la Cina (Cai) adottando una risoluzione sulle sanzioni di Pechino. “La Cina ha fatto male i suoi conti e si è sparata in un piede”, ha festeggiato l’eurodeputato tedesco Reinhard Bütikofer, portavoce dei Verdi per la politica estera, su Twitter.

Dopo la sospensione dell’accordo annunciata nelle scorse settimane dal vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis, il Parlamento europeo ha condannato con la massima fermezza le sanzioni “immotivate e arbitrarie” recentemente imposte dalle autorità cinesi a diversi individui ed entità europee, tra cui cinque deputati e alcuni centri studi. E ha dichiarato che la mossa di Pechino rappresenta un attacco alle libertà fondamentali ed esortando le autorità cinesi a revocare queste misure restrittive.

Fino a quando Pechino non lo farà, il Parlamento europeo non affronterà la questione della ratifica dall’accordo raggiunto a dicembre tra la Commissione europea e il governo cinese. E non è detto che a quel punto la strada possa mettersi in discesa: infatti, negli ultimi mesi molte critiche sono state mosse dagli europarlamentari ad alcuni aspetti dell’intesa, come quelli che riguardano il lavoro forzato e i settori critici.

Intanto, i deputati chiedono il sostegno della Commissione europea e degli Stati membri. Ancora Bütikofer, uno degli eurodeputati sanzioni da Pechino: “Mi aspetto che il Consiglio includa qualcosa sulle sanzioni nelle sue conclusioni del Consiglio quando si occuperà di politica cinese. Penso che dovrebbe esserci un chiaro segnale di solidarietà dal Consiglio al Parlamento europeo, perché non stiamo combattendo solo la battaglia del parlamento. Stiamo combattendo la battaglia europea”.

Da Bruxelles arriva così un segnale a Washington, a poche settimane dall’arrivo in Europa del presidente Joe Biden, per il G7, il summit Nato e quello con i leader dell’Unione europea di metà giugno.

Segnale che inevitabilmente è stato accolto con favore. Dopo aver invitato il Giappone alla linea dura sulla Cina in occasione del viaggio a Washington del primo ministro Yoshihide Suga, gli Stati Uniti starebbero per fare lo stesso con la Corea del Sud quando il presidente Moon Jae-in sarà nella capitale americana, come rivelato dal Financial Times. Su Twitter Noah Barkin, esperto del German Marshall Fund, si è così chiesto, anche ricordando gli sforzi dell’amministrazione Biden di creare un fronte di democrazie per affrontare l’ascesa dei regimi: “Prima il Giappone, ora la Corea del Sud, la prossima [sarà] l’Europa?”.

Ma il segnale che parte da Bruxelles raggiunge però anche Pechino. Dove all’accordo con l’Unione europea tengono molto. Basti pensare che, come raccontato su Formiche.net, il Global Times, organo di propaganda cinese in lingua inglese, ha messo in bocca a Mario Draghi parole mai pronunciate a difesa dell’intesa. Diversamente da quanto riportato dal giornale di Pechino, infatti, nella nel comunicato di Palazzo Chigi dopo la telefonata tra il presidente del Consiglio italiano e il premier cinese Li Keqiang non c’era traccia di una simile promessa.

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