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Il Kenya conta, ma soprattutto la cosa importante è che “conta adesso”, come ha ricordato Umberto Tavolato, direttore dei Progetti speciali della Med-Or Italian Foundation, nel discorso di apertura di “Kenya’s Renewable Energy and Green Industrialization Opportunities”, seminario organizzato oggi nella sede della fondazione, dove sono state riunite alte cariche governative kenyote e rappresentanti italiani del settore pubblico e privato.

Il seminario ha rappresentato il termometro di una trasformazione geopolitica in corso: l’Italia che ripensa il suo ruolo africano attraverso il prisma del Kenya, e Nairobi che si candida a diventare il trampolino di lancio della decarbonizzazione continentale.

La delegazione kenyota era guidata da Ali Mohamed, Inviato Speciale del Presidente William Ruto per il Cambiamento Climatico, affiancato da Alex Wachira, Segretario Principale del Dipartimento per l’Energia, e Juma Mukhwana, Segretario Principale del Dipartimento per l’Industria. Una partecipazione che dimostra l’interessamento di Nairobi all’Italia.

Il momentum kenyota: quando la geografia incontra la strategia

Il Kenya emerge non solo come partner energetico, ma anche moltiplicatore strategico. Con il 92% della produzione elettrica da fonti rinnovabili, una politica industriale orientata ai Green Industrial Parks e un focus su agricoltura sostenibile e food security, il Paese pare già aver risolto parte l’equazione che tormenta l’Europa: come conciliare sicurezza energetica e transizione verde. Ma la vera carta vincente di Nairobi non sta solo nei numeri delle rinnovabili, quanto nella capacità di trasformare la propria posizione geografica in leva geopolitica.

La presenza di alcuni quartier generale dell’Onu in Africa a Nairobi non è un dettaglio burocratico, ma un asset che fa del Kenya il nodo di una rete diplomatica ed economica che si estende dall’Oceano Indiano al Corno d’Africa. Quando si aggiunge la fitta trama di accordi commerciali con Ue e Stati Uniti, e i contatti con Pechino, emerge il profilo di un Paese che ha scelto di essere un hub del multilateralismo, piuttosto che una periferia.

Il Piano Mattei alla prova dei fatti

L’incontro tra la delegazione guidata dall’Inviato Speciale della presidenza e i rappresentanti italiani ha mostrato come il Piano Mattei stia passando dalla teoria alla pratica, aggiungendo contenuti alla dimensione strategica-narrativa che lo ha caratterizzato nelle sue prime fasi. Il fondo italiano da 150 milioni di euro per clima e trasporti verdi, il memorandum su geotermico e biocarburanti, progetti innovativi come quello di Eni che coinvolge 80.000 agricoltori (inseriti nella filiera dei biocarburanti), emergono non solo investimenti. Si tratta di scommesse strategiche su un modello di cooperazione che rompe con l’approccio assistenziale del passato.

Il centro pan-africano di eccellenza per la transizione energetica con base in Kenya rappresenta forse l’innovazione più significativa: l’esportazione della tecnologia italiana diventa occasione per co-creare competenze, che potranno poi irradiarsi verso l’intero continente. È la logica dell’effetto moltiplicatore applicata alla diplomazia economica — tra gli elementi guida del Piano Mattei.

Le sfide della scala: dall’energia all’industria

La richiesta kenyota è pragmatica e ambiziosa insieme: investimenti massicci in trasmissione e accumulo energetico, sviluppo di parchi industriali, capacity building locale. Dietro queste necessità si nasconde la sfida più complessa: come trasformare l’eccesso di produzione energetica notturna in vantaggio competitivo per attrarre manifattura internazionale. E in definitiva come trasformare quell’energia in applicazione industriale interna al paese e all’Africa.

L’intenzione delle autorità kenyote di ospitare un parco industriale a guida italiana è in quest’ottica solo in parte un’opportunità commerciale, perché può diventare un test per verificare se il modello di partnership paritaria promosso dal Piano Mattei può funzionare su scala industriale. Se il progetto dovesse andare in porto, potrebbe diventare il prototipo replicabile in altri contesti africani.

I nodi da sciogliere: burocrazia e filiere critiche

Il seminario ha fatto però emergere anche i limiti strutturali che rischiano di frenare questo slancio. La riforma della burocrazia italiana per facilitare gli investimenti delle pmi in Africa non è un tecnicismo, ma una necessità strategica: senza snellimento normativo, l’Italia rischia di perdere competitività rispetto a competitor più agili (come la Cina o la Turchia).

Altrettanto cruciale è la questione delle filiere per le materie prime critiche. Il Kenya potrebbe diventare un partner chiave per diversificare gli approvvigionamenti europei, ma serve una strategia industriale integrata che vada oltre la semplice estrazione per puntare sulla trasformazione locale.

Oltre la cooperazione: verso l’interdipendenza strategica

Quello che è emerso dal confronto ospitato da Med-Or è la consapevolezza che la posta in gioco va oltre la singola partnership bilaterale. Investire in Kenya oggi significa posizionarsi su quello che potrebbe diventare il corridoio energetico e industriale dell’Africa orientale. Per l’Italia, rappresenta l’opportunità di trasformare la propria tradizionale vocazione mediterranea in una proiezione africana strutturata.

La vera innovazione del modello che si sta delineando non sta nella quantità di investimenti, ma nella loro qualità strategica: creare interdipendenza anziché dipendenza, costruire ecosistemi piuttosto che singoli progetti, pensare in termini di decenni anziché di legislature. L’evento romano ci ricorda in sostanza che il tempo della cooperazione africana come optional strategico è finito: è diventata una necessità geopolitica per l’Europa e un’opportunità storica per l’Italia.

È il Kenya il laboratorio della nuova partnership Africa-Italia. L’evento di Med-Or

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