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Cina e Russia realizzeranno insieme una stazione scientifica sulla superficie lunare. È la risposta al programma Artemis degli Stati Uniti, a conferma di una corsa allo Spazio a tinte sempre più geopolitiche. Ieri il direttore dell’agenzia spaziale russa Roscosmos Dmitrij Rogozin e il collega della Cnsa Zhang Kejian hanno firmato in video-conferenza un memorandum d’intesa in rappresentanza dei rispettivi governi.

L’INTESA

“Cina e Russia useranno la loro esperienza accumulata nella scienza, nella ricerca e nello sviluppo legati allo spazio e impiegheranno la tecnologia e gli equipaggiamenti spaziali per sviluppare in maniera congiunta una road map per la costruzione di una stazione lunare di ricerca internazionale”, spiega il comunicato cinese. “La Stazione internazionale lunare scientifica – aggiunge Roscoscmos – sarà un complesso di strutture di ricerca sperimentale create sulla superficie e/o nell’orbita della Luna, progettate per svolgere lavori di ricerca multidisciplinari e polivalenti”. Si prevede “la possibilità di funzionamento senza equipaggio”, ma anche “la prospettiva di una presenza umana sulla Luna”.

L’ACCORDO PRECEDENTE

Il memorandum segue l’intesa sottoscritta da Roscosmos e Cnsa a settembre del 2019. Riguarda la collaborazione nel campo dell’esplorazione lunare, attraverso un reciproco contributo per la sonda orbitante russa Luna-26 e per la missione cinese Chang’e 7, che invece prevede l’approdo sul polo sud lunare, lo stesso identificato dagli Usa per Artemis. La stessa intesa lanciava un data center condiviso, da realizzare con hub in entrambi i Paesi, ulteriormente evidenziato dal memorandum siglato ieri.

TUTTI SULLA LUNA

Oggi come allora, è piuttosto evidente il tentativo di rispondere al programma americano. Sin dal lancio di Artemis, gli Stati Uniti hanno d’altra parte chiarito la disponibilità ad accettare partner internazionali e alleati, ma sempre restringendo il campo ai Paesi occidentali (in alcuni casi addirittura della Nato). Da qui, la necessità russa di agganciarsi al treno cinese, ben avviato verso la Luna. A inizio 2019 (poco prima dell’annuncio Usa su Artemis) la sonda Chang’e 4 sorprese il mondo, diventando la prima nella storia a essersi posata sul lato nascosto della Luna. Più di recente, a dicembre, la missione Chang’e 5 ha permesso alla Cina di diventare il terzo Paese al mondo a riportare a Terra campioni della superficie lunare (non succedeva dal 1976, missione sovietica Lunnik 24, quattro anni dopo l’Apollo 17).

IL PROGRAMMA CINESE

Tra il 2023 e il 2024, dovrebbe partire la Chang’e 6 per studiare il polo sud lunare e recuperare ulteriori campioni di superficie. Sarà successivamente la volta della Chang’e 7 e della Chang’e 8, dedicate allo studio profondo della superficie, con tanto di stampante 3D per costruire in situ strutture di ricerca e preparare così il terreno all’obiettivo più ambizioso: l’approdo dei primi taikonauti sulla Luna. Fino allo scorso dicembre, le autorità cinesi ne parlavano “nel giro di circa dieci anni”. Il programma è tutt’altro che improvvisato. Nel 2007 e nel 2010 sono partite rispettivamente Chang’e-1 e Chang’e-2, con due sonde orbitanti intorno al satellite. Nel 2013, Chang’e-3 ha condotto sulla superficie un lander e un rover che, nonostante alcuni problemi di mobilità, ha operato per 31 mesi.

LA CORSA ALLO SPAZIO

Considerando un programma ambizioso su tutti i segmenti spaziali (si ricorderà la recente missione marziana), la Cina si è d’altra parte affermata da diversi anni quale primo competitor degli Stati Uniti nella rinnovata corsa allo Spazio. Sarà una corsa diversa rispetto ai tempi della Guerra fredda. Ci sono più attori, molti dei quali privati, capaci anche di garantire continuità al programma americano al cambio di amministrazione. Secondo molti osservatori, è proprio l’interesse privato ad aver contribuito alla decisione con cui la Casa Bianca di Joe Biden ha confermato la volontà di procedere con Artemis, nonostante il forte marchio trumpiano sul programma.

POLEMICHE IN VISTA?

La corsa sarà dunque geopolitica, ma anche molto commerciale. Significativo che tra i campi d’applicazione del nuovo memorandum Cina-Russia, Roscosmos citi anche “l’utilizzo della Luna”. Difatti, ad aprile dello scorso anno, l’agenzia russa era stata la prima a protestare contro l’ordine esecutivo con cui Donald Trump invitava a riconoscere la possibilità di sfruttare commercialmente le risorse della Luna e degli altri corpi celesti, confluito poi negli ormai noti “Artemis Accords” offerti ad alleati e partner per salire a bordo del progetto lunare. Il vice direttore generale di Roscosmos Sergey Savelyev lo definiva “un tentativo aggressivo di espropriazione”.

L’OSCILLAZIONE DI MOSCA

Pochi giorni dopo le polemiche, alla vigilia della “giornata dei cosmonauti”, fu Vladimir Putin a cercare di abbassare la tensione, celebrando la collaborazione con gli Usa sulla Stazione spaziale internazionale. L’intervento del presidente era volto a evitare nuove crisi diplomatiche spaziali, come quella occorsa all’inizio del 2019, quando Jim Bridenstine, allora numero uno della Nasa, fu costretto a ritirare l’invito a Rogozin. Fu pace fatta nel giro di pochi giorni, ma restavano i segni di qualche difficoltà, almeno all’intervento di Putin, sintomo di una Russia oscillante, forse in virtù della percezione di un certo rallentamento spaziale rispetto a Cina e Stati Uniti. Ora che con Joe Biden i toni sembrano più competitivi su tanti fronti, è probabile che tornino ad aumentare anche oltre l’atmosfera.

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