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In ogni incontro fra politici italiani e americani il tema dell’instabilità della Libia è centrale. In mancanza di una realistica politica italiana per promuovere non a chiacchiere ma nei fatti la stabilità della “ex-quarta sponda” e per la nostra incapacità di contrastare il disinvolto e aggressivo comportamento di potenze, come la Turchia, la Russia e l’Egitto – per non aggiungerci anche la Francia – i vari governi italiani hanno aspettato e sperato nell’impegno degli Usa. Lo hanno trasformato quasi in un atto di fede. Ciò spiega i ripetuti entusiasmi circa le benevole (ma forse un po’ sarcastiche!) affermazioni di Washington circa il ruolo centrale dell’Italia, di essere la “cabina di regia” per gli interventi internazionali in Libia.

Recentemente lo ha ripetuto anche il Segretario di Stato Usa, Antony Blinken, al nostro scodinzolante ministro degli esteri, pronto ad annunciare al popolo – pardon! ai cittadini – la lieta novella. Per fortuna ci sono l’Eni e i dinamici imprenditori italiani e l’Italia non ha perso il suo primato nei rapporti economici con il popolo e le autorità locali libiche.

La loro presenza – unita a quella dell’intelligence – mantiene al nostro paese un ruolo importante. Beninteso, talvolta dobbiamo trangugiare qualche boccone amaro, come il diktat turco al governo Dabaiba che vietava l’import da parte di Tripoli di armamenti italiani.

Circa la possibilità di tutelare attivamente i nostri interessi in Libia ma anche su quella che gli Usa ci tolgano “le castagne dal fuoco” pesa il rifiuto della politica italiana di impiegare tutti gli strumenti a sua disposizione, inclusi selettivamente quelli militari – fornitura di armi e di informazioni – lasciando il campo libero a attori più spregiudicati, come Erdogan e Putin.

Come si è visto nella recente conferenza di Berlino sul futuro della Libia, l’appello al ritiro delle forze straniere dal paese resta un pio desiderio. Il disarmo delle milizie e la costituzione di un esercito e di forze di sicurezza nazionali diverrebbero impraticabili. Senza di essi, le elezioni del 24 dicembre – ammesso, ma non concesso che possano svolgersi – non avranno alcun impatto sulla stabilizzazione del paese. Tutt’al più faciliteranno un accordo sulla ripartizione della rendita petrolifera.

Il recente sostegno italiano di rinnovare il finanziamento dell’Ue alla Libia per gli immigranti della rotta balcanica potrebbe facilitare un analogo accordo per quelli dalla Tripolitania. Resta il fatto che l’Italia dovrà impegnarsi direttamente, senza rifugiarsi dietro “mamma America”.

Occorre per questo che si renda conto che la politica di Washington per la Libia è subordinata ad altre preoccupazioni, per essa più rilevanti. Primo: a differenza dell’Italia, per gli Usa l’immigrazione dalla Libia è meno importante del contrasto al terrorismo. Tale differenza di priorità rende difficile una collaborazione strategica.

La lotta contro il traffico di esseri umani potrebbe alimentare il sostegno ai terroristi da parte delle tribù che dal primo traggono benefici economici. Inoltre, la Turchia è più rilevante per gli Usa dell’Italia, malgrado i contrasti di Ankara con la Grecia, il suo attacco ai curdi e l’acquisto dei sistemi S-400 dalla Russia.

La Turchia resta essenziale per l’accesso Usa al Mar Nero, per il sostegno che dà all’Ucraina, per il contrasto alla Russia in Siria e Libano, per i suoi rinnovati impegni in Afghanistan e, recentemente, per la vendita alla Polonia dei suoi efficienti drones armati.

Anche gli altri Paesi con cui l’Italia è in contrasto in Libia sono l’Egitto e gli Emirati, anche per gli sconsiderati embarghi imposti sulla vendita di armi, da quello che secondo Beppe Grillo è “il ministro degli esteri più brillante che mai l’Italia abbia avuto”, sono prioritari per gli Usa. Al-Sisi, già “il mio dittatore preferito” di Trump, si è riabilitato con Biden per la sua mediazione per Gaza.

La mancanza di sostegni esterni non lascia molto spazio all’Italia, malgrado la diminuzione in Libia dei contrasti con la Francia. Come con il Covid-19 il nostro paese deve rassegnarsi a convivere con tale situazione, evitando trionfalismi e retorica, in una situazione che ci lascia scarsi margini di radicale miglioramento.

In tale quadro, a parer mio, sarebbe preferibile non agitarsi troppo, se non altro per ragioni di dignità nazionale. La “foglia di fico” del sostegno americano si è appassita. Blinken è stato al riguardo molto chiaro. Essa ha sinora funzionato esclusivamente per il disinteresse dell’opinione pubblica italiana alla politica estera.

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