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Nella giornata di sabato 19 aprile, in occasione di un incontro con il capo di Stato Maggiore Valerii Gerasimov, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato una tregua unilaterale “per ragioni umanitarie” in occasione delle festività di Pasqua. Putin ha dichiarato che la tregua in questione si sarebbe estesa dalle 18 di sabato alla mezzanotte tra domenica 20 e lunedì 21 aprile, augurandosi che anche Kyiv avrebbe “seguito l’esempio” rispettando l’interruzione degli scontri.

Tuttavia, la tregua sembra essere esistita soltanto nelle parole del presidente russo. Già nella mattina di domenica il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato che le forze armate ucraine hanno riferito di attacchi russi lungo parti della linea del fronte. Questi attacchi sono stati condotti sia da parte delle truppe di terra (un rapporto firmato dal capo delle forze armate ucraine Oleksandr Syrsky parla di ventisei diversi assalti registrati lungo la linea del fronte a partire dalla mezzanotte, che si aggiungono ai diciannove condotti dopo l‘inizio ufficiale della tregua) che attraverso l’utilizzo di droni, con questi ultimi che sarebbero addirittura “raddoppiati” intorno alle 10 del mattino. “In pratica, o Putin non ha il pieno controllo del suo esercito, o la situazione dimostra che in Russia non hanno alcuna intenzione di fare un passo genuino verso la fine della guerra”, ha poi scritto Zelensky sui social media, aggiungendo che le truppe ucraine “rispondono come il nemico merita, in base alla specifica situazione di combattimento. L’Ucraina continuerà ad agire in modo simmetrico”. Dall’altro lato, il ministero della Difesa russo ha accusato l’Ucraina di aver a sua volta commesso numerose violazioni del cessate il fuoco, e ha confermato che le sue forze hanno ripreso le operazioni di combattimento dopo la scadenza della tregua a mezzanotte.

L’effettivo fallimento di una tregua non stupisce particolarmente gli osservatori, alla luce di quanto già avvenuto in precedenza. Basti pensare alla moratoria sugli attacchi energetici mediata dagli Stati Uniti nelle scorse settimane, moratoria che nessuna delle due parti coinvolte nel conflitto sembra aver rispettato. E lo stesso Cremlino si era rifiutato di rispettare un cessate il fuoco di 30 giorni proposto dal Presidente Usa Donald Trump, cosa che invece l’Ucraina si era dichiarata disposta a fare. Lo stesso Zelensky aveva giocato su questa cosa, dichiarando in risposta all’annuncio di Putin che “Se il cessate il fuoco completo dovesse davvero prendere piede, l’Ucraina propone di estenderlo oltre il giorno di Pasqua, il 20 aprile. Questo è ciò che rivelerà le vere intenzioni della Russia”.

Quali erano, dunque, le intenzioni del Cremlino? Tra le ipotesi che risultano più verosimili c’è quella di volersi mostrare compiacenti con la leadership statunitense, dopo che lo stesso presidente Trump e il segretario di Stato Marco Rubio avevano chiesto risultati immediati nel processo negoziale, arrivando a minacciare anche un’eiezione di Washington dalla mediazione. Dichiarando (almeno formalmente) una tregua, è verosimile che Putin abbia voluto mandare un messaggio in questo senso, dimostrando la sua disponibilità a rispettare le posizioni americane, al contempo continuando le operazioni offensive così da conquistare più territori possibili, ed arrivare ad una posizione di forza maggiore al negoziato vero e proprio. Gli stessi warblogger russi hanno affermato che la tregua è stata concepita per un pubblico esterno e che avrebbe svolto “un ruolo importante nel rafforzare la posizione diplomatica della Russia”.

Tuttavia, potrebbero esserci anche ragioni più marcatamente operative dietro all’annuncio della tregua. Il cessate il fuoco temporaneo potrebbe infatti aver consentito a Mosca di effettuare una piccola ma fondamentale rotazione delle truppe al fronte, così da poter incrementare il vigore delle operazioni offensive in atto.

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