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“Cosa farebbe Clausewitz contro il Covid, colonnello?”, disse il generale, girandosi di scatto verso un bersagliere seduto più lontano da lui. Colto di sorpresa, alzò la testa dalle carte e cercò di prendere tempo. “Quel Clausewitz, signore?”, chiese il colonnello, cercando di capire cosa diavolo c’entrasse con una pandemia uno dei maggiori teorici della guerra di tutti i tempi. Che però aveva studiato negli anni ormai lontani dell’Accademia e del quale non ricordava più molto. “Carl von Clausewitz, certo! Se questa è una guerra, allora affrontiamola come tale”, disse serissimo il Generale. “Dato che il Covid è il nostro nemico, e per una volta possiamo chiamarlo tale, senza correttezza politica, allora vediamo cosa ci consiglia il maestro del pensiero strategico; ci sarà pure qualcosa in cui può illuminarci, diamine”.

Prima che il colonnello potesse rispondere, dalla parte opposta del tavolo si alzò una voce dal velato accento tarantino. “Se mi permette, generale, Clausewitz direbbe che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Ergo, secondo Clausewitz al governo spetta decidere mentre a noi tocca eseguire”.

“Ammiraglio, ammiro molto la sua cultura strategica e la sua abilità nel rilanciare la palla in campo altrui. Nella realtà, tuttavia, per una volta il governo ci ha indicato con precisione l’end state: vaccinare l’80% degli italiani entro settembre. Noi militari dobbiamo decidere come”. Fece una piccola pausa, e si guardò intorno: “Altre idee? Cosa farebbe Clausewitz?”.

“Generale, Clausewitz ci direbbe che c’è la nebbia della guerra: non vediamo il nemico, non sappiamo quali siano i suoi piani, ignoriamo come si muova – disse un altro ammiraglio, con meno stell – e c’è l’attrito, il granello di sabbia che inceppa i meccanismi e deraglia i piani migliori”. Gli rispose sorridendo il generale: “Questa me la segno per quando avremo bisogno di scuse; ma anche questa non è una soluzione. Cosa possiamo fare per sconfiggere Al Qae…, voglio dire il Covid-19? Questo nemico come lo battiamo?”.

“Comandante, se mi consente… forse più che a Clausewitz dovremmo guardare a Jomini”. Il generale drizzò le orecchie e si girò verso quella voce non conosciuta. Possibile venisse da una divisa azzurra? “Jomini?”.

“Sissignore, il barone Antoine-Henri de Jomini, grande rivale intellettuale di von Clausewitz – proseguì la voce – è a Jomini che si rifanno tutti, a partire dal teorico del potere marittimo Mahan”.

“So chi è Jomini, colonnello, vada avanti”, disse il generale.

“Sferrare un attacco decisivo contro il grosso delle forze nemiche”, interruppe il bersagliere, che avendo faticosamente recuperato qualche ricordo di studi remoti voleva recuperare la precedente figuraccia. “Ma quale attacco decisivo!”, sbottò il generale, azzittendolo sconsolato, per poi rispondere all’aviatore. “La strategia controforze non ha molto senso, purtroppo. I virus sono insurgents, forze irregolari che si nascondono tra noi e colpiscono più o meno a caso. Purtroppo questa è una guerra tra la gente, come quando eravamo in Afghanistan. Non ci sono fabbriche di virus da bombardare e distruggere come avrebbe fatto Giulio Douhet”, sospirò, dardeggiando un’occhiata di benevola ironia l’ufficiale in divisa azzurra.

“Signore, ha ragione. Una volta limitati gli assembramenti, non ci sono neanche basi da distruggere”, ammise l’aviatore, sulla cui uniforme spiccavano due stelle. “Eppure il Précis de l’art de la guerre di Jomini ci dice molto più del Vom Kriege di Clausewitz”. “Vada avanti”, disse il generale, incuriosito.

“Clausewitz è filosofico, non prescrittivo. Invita a riflettere sul problema della guerra, amplia a dismisura gli ambiti da considerare, ma non dice davvero come vincerla. Se siamo in questa stanza oggi è perché finora si è fatta… filosofia, sì, filosofia! Dalla solidarietà con la Cina ai canti dalle terrazze, dai banchi a rotelle alle primule”. Aveva catturato la loro attenzione. Prese fiato e proseguì. “Jomini invece è chiarissimo: non mira a coltivare nuovi Napoleone, ma a formare bravi colonnelli in grado di guidare reggimenti in battaglia. Ecco, io credo che in questo momento non ci servano maghi che estraggono il coniglio dal cilindro, ma un piano scrupolosamente applicato”.

“Per esempio – proseguì l’aviatore – nel 1807, nel commento ai suoi primi 15 volumi sulle campagne di Napoleone, Jomini concludeva che per vincere in guerra non è sufficiente spostare con abilità le forze nei luoghi più importanti, bisogna sapere come usarle lì; se una forza arriva nel luogo decisivo e resta inattiva, questo principio è dimenticato e il nemico può contrattaccare”.

“Sembra un’osservazione sensata”, disse il Generale. “E quindi come si applica a noi?”.

“E quindi vaccinare, signore”, disse l’aviatore. “Far sì che le nostre forze, i vaccini, vengano utilizzate nel modo più intenso e completo. Allestire quanti più punti vaccinali possibile, ovunque possibile e fare la prima dose a quante più persone possibile. Gettare in campo tutto quello che abbiamo, senza accumulare scorte, senza fleet in being in vista di chissà quale Jutland futura”.

“Cos’altro ci dice Jomini?”, chiese il Generale, quasi pendendo dalle labbra dell’aviatore. “In sintesi, al contrario di Clausewitz, Jomini riduce la complessità della guerra a pochi e chiari principi che secondo lui portano alla vittoria. Per questa semplificazione viene talvolta deriso. Ma è quello di cui abbiamo bisogno: concentrarci sulle vaccinazioni, sulla distribuzione dei vaccini, evitare di dare al nemi… al virus il tempo e lo spazio per allargarsi. Più vacciniamo, meno spazio gli lasciamo per manovrare. In pratica, lo aggiriamo. Che era la manovra preferita di Jomini!”.

“Basta, mi ha convinto: meglio Jomini che Clausewitz”, lo interruppe il Generale. “Sconfiggeremo il virus con logistica e organizzazione, lasciando i geni fuori dalla porta. Andate pure, signori, la riunione è conclusa”.

Leggere Clausewitz (e Jomini) per combattere il Covid. Il racconto di Alegi

Se contro il Covid-19 è in corso una guerra, si può affrontare la pandemia secondo i classici principi della strategia? E se sì, a quale dei grandi pensatori bisogna affidarsi? Un virus è più simile a un esercito regolare o alla guerriglia? Per sconfiggerlo è meglio un genio napoleonico o colonnelli ben preparati? Cronaca semi-didattica di una riunione di Stato maggiore

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