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“È il fiume che trasforma il legno mentre lo trasporta via” recita una famosa canzone di Enrico Ruggeri e Mimmo Locasciulli. Ed è la solita storia della legge di bilancio che viene data dalla comunicazione per chiusa all’uscita dal consiglio dei ministri ma che in realtà poi deve seguire un lungo iter (commissioni e assemblee parlamentari, dialogo con la Commissione Europea, azioni e reazioni nel dibattito con l’opinione pubblica e le parti sociali) che la trasforma profondamente fino al punto di arrivo.

Per dove siamo oggi sono possibili alcune considerazioni. Primo, il solito fossato incolmabile tra l’essere forza di lotta e di governo di un partito che esprime pulsioni di fuga dall’euro e poi, quando un suo esponente di spicco diventa ministro delle finanze, si dota di saggezza e realismo per una sorta di grazia di stato scegliendo la via della prudenza e costruendosi una reputazione di affidabilità premiata dai mercati. In questo “trasformismo” i politici fanno la parte dei furbi e gli elettori attratti dalle sirene del populismo elettorale quello dei fessi.

Secondo, la distinzione tra una sinistra più attenta al sociale ed una destra che aiuta i ricchi in Italia non esiste più e probabilmente non è mai esistita. Destra e sinistra oggi competono sul fronte della sostenibilità sociale e questa finanziaria lo dimostra. La destra non è una destra liberale del tipo lacrime e sangue ma è piuttosto una destra che si sforza di investire in sanità e pensioni (su questa seconda partita i soldi però non ci sono) e di allentare il peso fiscale della classe media.

E, tutt’altro che liberista, è in prima linea a difendere interessi di categoria anche quando rappresentano rendite di posizione. Terzo, le entrate di questa finanziaria (fondamentali per tenere in equilibrio il bilancio) sono le poste su cui è lecito esprimere dubbi. Se nella nostra cultura si dice che ormai l’opinione pubblica ha la memoria dei pesci rossi che ogni 8 ore azzerano tutto, facendo un piccolo sforzo possiamo ricordare che anche nella scorsa manovra c’era una posta in entrata di tasse sulle banche che, dopo i passaggi in commissione, evaporò e fu convertita in un aumento della capitalizzazione delle stesse.

Ed è lecito pensare che gli svariati miliardi che il governo si aspetta di incassare da banche ed assicurazioni eliminando il credito d’imposta sui crediti deteriorati non siano garantiti da accordi scolpiti nella pietra. Anche dei tagli lineari ai ministeri (la seconda grande voce delle entrate) è lecito dubitare in pratica e discettare in teoria. Taglio lineare significa che tutto è uguale e ha la stessa importanza rinunciando a stabilire una lista di priorità e di valore nelle diverse poste di spesa che non c’è dubbio esiste (per fortuna al taglio lineare è stata sottratta la sanità).

Resta sullo sfondo della manovra una sfida drammatica ed un enigma strutturale. La sfida è quella della non autosufficienza, problema enorme destinato a crescere e a pesare sui bilanci delle famiglie con l’aumento degli anni di vita non in buona salute. Le risorse a disposizione oggi per l’indennità di accompagnamento sono assolutamente insufficienti ed andrebbero potenziate L’enigma è quello di un paese dove solo il 15,26% dei contribuenti dichiara un reddito lordo al di sopra dei 35mila euro e paga il 63% delle imposte sui redditi mentre più del 40% dichiara un reddito irrisorio fino a 15mila euro.

La storia del nostro paese si conferma dunque quella di un singolare abbinamento tra povertà pubblica (il nostro debito) e ricchezza privata in un paese diviso tra i cosiddetti “furbi” e quelli che pagano. In questa narrativa però non mi ritrovo, da professore sono orgoglioso di far parte della seconda categoria e di poter contribuire con il mio lavoro a finanziare i beni pubblici essenziali (sanità, scuole, strade) per la vita dei miei concittadini.

Enigmi (e qualche sfida) dietro la manovra. Scrive Becchetti

La sfida è quella della non autosufficienza, problema enorme destinato a crescere e a pesare sui bilanci delle famiglie. L’enigma è quello di un Paese dove solo il 15,26% dei contribuenti dichiara un reddito lordo al di sopra dei 35mila euro e paga il 63% delle imposte sui redditi. Il commento di Leonardo Becchetti

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