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Gli Stati Uniti hanno momentaneamente sospeso la vendita di caccia F-35 agli Emirati Arabi Uniti – una mossa spinta dall’amministrazione Trump nelle ultime ore di operatività, dopo che da diverso tempo se ne parlava e dopo che era diventata una questione più concreta con la chiusura degli Accordi di Abramo, con cui Abu Dhabi ha normalizzato i rapporti con Tel Aviv.

La decisione dell’amministrazione Biden ha attirato subito molta attenzione, perché è sembrata una mossa in grado di modificare qualcosa nelle relazioni tra gli Emirati e gli Usa, anche alla luce di diverse polemiche congressuali che erano seguite a questa e ad altre vendite di armamenti nel Golfo. In particolare quelle all’Arabia Saudita – sospese anch’esse momentaneamente – con i rappresentanti democratici che hanno sollevato questioni di carattere etico.

C’è in ballo il tema del rispetto dei diritti umani e quello della guerra che i sauditi (e fino a qualche mese fa gli emiratini) stanno conducendo in Yemen – dove spesso pare non ci sia stata troppa discriminazione dei bersagli tra postazioni dei ribelli Houthi e strutture civili nelle aree controllate dai separatisti. Il segretario di Stato Anthony Blinken – che guida il dipartimento competente per istruire le pratiche di vendita di armamenti all’estero – ha subito specificato che “è tipico all’inizio di una nuova amministrazione rivedere qualsiasi vendita di armi in sospeso”.

Al di là delle dichiarazioni che possono anche servire per edulcorare certe direttive, l’aspetto interessante è comprendere se con Joe Biden alla Casa Bianca cambierà qualcosa per l’Arabia Saudita e soprattuto per gli Emirati Arabi, che anche nei quattro anni trumpiani sono stati un alleato particolarmente curato – anche per le capacità di relazione che l’ambasciatore a Washington, Yousef Al Otaiba, ha sviluppato nel corso della sua lunga esperienza americana (è in carica dal 2008 e quindi ha vissuto direttamente l’era Obama prima di quella di Donald Trump).

“Ad Abu Dhabi si sono già posti la domanda sul se avranno ancora la fiducia dell’amministrazione Biden, chiedendosi se potranno ancora ricevere il supporto di Washington per portare avanti i propri interessi regionali e se questi non siano problematici per la strategia americana, ma ne sia un rafforzamento”, spiega a Formiche.net Cinzia Bianco, esperta dei Golfo e Medio Oriente dell’Ecfr.

Gli emiratini nel corso degli anni hanno mosso tutte le carte possibili per costruire questa fiducia, che è alla base della relazione Usa-Uae. “Una fiducia che, è innegabile, negli ultimi quattro anni è cresciuta anche per via dei rapporti personali tra figure dell’amministrazione Trump e i vertici di Abu Dhabi”, aggiunge Bianco. Su tutti c’era (e c’è ancora su altri canali) il rapporto di amicizia tra Jared Kushner, genero e consigliere dell’ex presidente, e l’erede al trono emiratino, Mohammed bin Zayed – relazione controversa e spesso criticata per questioni di conflitto di interessi.

È legittimo dunque pensare che qualcosa possa cambiare con un’amministrazione come quella di Biden che dovrebbe tornare a tenere negli affari internazionali una linea più classica, affidata a diplomazia e apparati e non ai rapporti personali – una forma anche per prendere le distanza, allargando il discorso, da certe immagini che rappresentano Trump e la sua rottura nel processo istituzionale statunitense.

“Comunque – analizza l’esperta dell’Ecfr – per quello che posso prevedere, con gli Emirati Arabi Uniti non ci sarà ostilità. Il rapporto, seppure con forme e toni diversi e con qualche attrito e limite messo dagli Usa, continuerà”. Relazioni che saranno portate avanti dal network di lobby che gli emiratini hanno piazzato sia nel mondo Dem che Rep coordinate da Al Otaiba. Un segnale in più è che all’interno del National Security Council di Biden la persona che si occuperà di Golfo è l’ambasciatrice Barbara Leaf, precedentemente feluca statunitense negli Emirati e piuttosto allineata con il pensiero di Abu Dhabi.

Secondo Bianco “diversamente invece potrebbe succedere con i sauditi”. Perché? “Lo dico perché ci sono già dei segnali, per esempio  nelle testimonianze fornite al Congresso da alcuni nuovi alti funzionari durante il processo di conferma per l’amministrazione Biden”.

Durante l’audizione al Senato di Blinken per esempio, l’attuale segretario ha detto di voler mantenere rapporti con alcuni alleati, e ha nominato gli emiratini, mentre a una specifica domanda del senatore Chris Murphy (democratico dal Connecticut e membro della Commissione Esteri) ha risposto che l’amministrazione Biden intende porre fine – “in brevissimo tempo” – a qualsiasi genere di supporto all’intervento saudita in Yemen.

Nel dibattito democratico del 2019, Biden ha detto che riconoscerà l’Arabia Saudita per il “paria” che sono: questa avversione verso Riad è stata ripresa sia da Blinken che da Jake Sullivan, il nuovo Consigliere per la sicurezza nazionale come indicato da un’infrografica del Pomed. La scorsa settimana, per fare un altro esempio di quello che prevede l’analista dell’Ecfr, Avril Haines, recentemente nominata a capo della Cia, ha fatto sapere che intende declassificare un report sull’uccisione di Jamal Khashoggi, giornalista del Washington Post ucciso al consolato saudita di Istanbul.

Secondo diverse informazioni (con tanto di particolari magari) fatte uscire dal governo turco, l’uccisione sarebbe stata compiuta da una squadraccia dei servizi segreti sauditi che, su ordine di Mohammed bin Salman, ha attratto con l’inganno Khashoggi (un editorialista molto noto che aveva intenzione di formare un movimento politico ispirato a un pensiero dell’Islam diverso da quello governativo di Riad). La Cia ha riconosciuto il coinvolgimento dell’erede al trono saudita, e la declassificazione di informazioni potrebbe significare che gli Usa di Biden affideranno ufficialmente la colpa per il brutale omicidio al sovrano de facto del regno. Un colpo duro nelle relazioni che potrebbe portarsi dietro molto più di una revisione sulla vendita di armamenti.

arabia saudita

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