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Xiaomi sarà “la prossima Huawei”? È il timore di due deputati repubblicani: Andrew Garbarino, membro della sottocommissione Cybersecurity, e John Katko, membro della commissione Homeland security.

In una lettera indirizzata ai dipartimenti Homeland security e Commercio, i due membri della Camera dei rappresentanti chiedono informazioni sulle contromisure che l’amministrazione intende assumere nei confronti delle aziende cinesi che cercano di riempire il vuoto di Huawei rischiando di compromettere la supply chain tecnologica degli Stati Uniti.

“Nello specifico, siamo preoccupati per l’ascesa dell’azienda tecnologica cinese Xiaomi, che ha recentemente lanciato diversi nuovi smartphone di fascia alta con l’obiettivo di riempire il vuoto consumer lasciato da Huawei”, scrivono. “Condividiamo le gravi preoccupazioni che Xiaomi rappresenti una minaccia significativa per la privacy dei suoi utenti attraverso la sua gamma di smartphone, laptop, smart watch e altri prodotti per i consumatori. In un certo senso, i dati sono diventati la valuta moderna della sicurezza nazionale e dobbiamo prendere sul serio le minacce all’integrità dei dati del mondo libero”.

La scorsa settimana Gina Raimondo, segretaria al Commercio, ha fatto sapere che il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan sta conducendo un’indagine su Huawei e le altre aziende tecnologiche cinesi per valutare i prossimi passi dell’amministrazione.

Il pressing dei deputati sembra rientrare in questo quadro. Tuttavia, non si può non notare che nella lettera i due non facciano riferimento ad attività d’intelligence che spieghino per cui Xiaomi rappresenterebbe una minaccia oltre alle preoccupazioni generali sulle leggi cinesi.

Inoltre, negli ultimi giorni di amministrazione Trump, il Pentagono aveva designato Xiaomi come azienda militare cinese (impedendo agli investitori americani di acquistare azioni o titoli). Ma quella decisione è stata temporaneamente bloccata dalla giustizia statunitense dopo la causa intentata dalla stessa Xiaomi contro gli Stati Uniti. Che all’epoca aveva detto che “non è di proprietà, controllata o affiliata all’esercito cinese” e che oggi dichiara, ribadendo di essere una società privata e con alti standard sulla protezione dei dati, di “non produrre infrastrutture o apparecchiature di telecomunicazione che fanno parte della catena di fornitura Ict”.

C’è un elemento però a sostegno della richiesta dei due deputati: le leggi cinesi, le stesse che hanno spinto il Copasir a invitare il governo italiano a bandire Huawei e Zte dal 5G. Chissà che ciò non spinga anche le autorità italiane a una review.

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