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Sarà stata pure programmata in precedenza, ma che la prima esercitazione del 2021 della Nato veda come teatro operativo il Mar Nero è un messaggio a Mosca che arriva in un momento particolarmente delicato. La Russia ribolle, le manifestazioni di sabato 23 gennaio hanno mostrato non tanto la forza del leader della lotta alla corruzione, Alexei Navalny, ma il potere del rammarico – incattivito, esausto – con cui i cittadini guardano al presidente Vladimir Putin. L’uomo forte che prometteva il ritorno della Russia ai fasti imperiali e che recentemente s’è mostrato al mondo con tutte le sue debolezze – umane e politiche. Debolezze di un leader senza prospettive e ricambio; in un’immagine, la muffa che ha fatto entrare acqua dal tetto dello sfarzoso palazzo di Soči, quello che proprio Navalny ha mostrato al mondo in un documentario che, grazie al linguaggio populista, ha acceso ancora di più quella piazza nervosa e stanca.

E la Nato sul lago di casa – Soči, buen retiro putiniano, s’affaccia sul Mar Nero – non può che appesantire la sindrome di accerchiamento che, come ha spiegato su queste colonne Eleonora Tafuro Ambrosetti (Ispi), porta Putin a lavorare secondo categorie mentali differenti a quelle a cui siamo abituati in Occidente. L’obiettivo è il mantenimento della presa sul potere, che sente accerchiato dai problemi economici; dall’esasperazione di una larga maggioranza di russi che vedono le loro condizioni di vita peggiorare di anno in anno; dalle sanzioni; dalla serie di operazioni di intelligence andate storte; da una proiezione internazionale che è certamente problematica e non sottovalutatile, ma meno spaventosa; dal ritorno a Washington di un’amministrazione che dovrebbe subire molto poco la fascinazione dell’uomo forte (debolezza di Donald Trump) e riportare gli Usa, l’Ue, e quindi la Nato su una posizione molto severa nei confronti di Mosca (si vedano le discussioni attorno al gasdotto Nord Stream 2).

Sabato, mentre le strade di sessanta città russe si riempivano di gente – contro Putin, più che a sostegno di Navalny – nel Mar Nero sfilava il cacciatorpediniere Classe Arleigh-Burke “USS Donald Cook” assistito dal cielo da un P-8 Orion per pattugliamento marittimo decollato da Sigonella e un E-3 Sentry specializzato in attività Awacs partito dalla base di Geilenkirchen, in Germania. Entrambi i velivoli sono sotto comando Nato, e – come ha spiegato il comandate della Sesta Flotta americana basata a Napoli, il viceammiraglio Gene Black – l’obiettivo di queste operazioni marittime integrate è dimostrare “la nostra capacità di combinare perfettamente le capacità per fornire una difesa a più livelli in tutti i domini di guerra”.

Certe attività sono simboliche, hanno un valore politico oltre che testare tecniche operative. La Nato sceglie di operare a tre giorni dall’inaugurazione del nuovo presidente statunitense Joe Biden nell’area di responsabilità dell’EuCommand americano e lo fa partendo dal Mediterraneo orientale – fascia sensibile – e risalendo sul Mar Nero, tagliando gli stretti turchi e inserendosi in un’area delicatissima per la Russia, dove si trova la Crimea e le basi che ospitano la flotta regionale che dovrebbe creare deterrenza all’Europa.

Dietro a certe attività va fatta attenzione anche alla semantica scelta nei comunicati. Per esempio, quello della US Navy scrive: “Il Mar Nero è una via d’acqua fondamentale per il commercio marittimo e la stabilità in tutta Europa. La Marina degli Stati Uniti opera regolarmente nel Mar Nero per lavorare con i nostri alleati e partner della Nato, tra cui Bulgaria, Georgia, Romania, Turchia e Ucraina. È nel migliore interesse del mondo mantenere una regione del Mar Nero stabile e prospera e scoraggiare gli attori aggressivi che cercano la destabilizzazione per il proprio guadagno”. Un avviso.

(Foto: Navy.mil, il Donald Cook nel Mar Nero)

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