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Le informazioni di intelligence sono evidenti: “Pechino intende dominare gli Stati Uniti e il resto del pianeta economicamente, militarmente e tecnologicamente”. È quanto scrive in un editoriale sul Wall Street Journal John Ratcliffe, il direttore dell’intelligence nazionale statunitense, secondo cui la Cina rappresenta “la più grande minaccia per l’America oggi, e la più grande minaccia alla democrazia e alla libertà in tutto il mondo dalla Seconda guerra mondiale”. Ratcliffe, che a gennaio passerà il testimone a Avril Haines, ha spiegato che l’approccio di spionaggio economico della Cina è triplice: “Ruba, replica e sostituisci”. Tradotto: le società cinesi rubano la proprietà intellettuale americana, la copiano e poi soppiantano le società statunitensi nel mercato globale.

LE ULTIME MOSSE DI TRUMP

L’editoriale di Ratcliffe è soltanto l’ultimo episodio della sfida tra Stati Uniti e Cina che, con l’incombente cambio alla Casa Bianca, si è fatta ancora più accesa. Axios.com ha rivelato che il dipartimento del Commercio statunitense sta preparando un ordine esecutivo in base al quale l’amministrazione avrebbe il potere di vietare ai fornitori di cloud statunitensi di fare affari in determinati Paesi ma anche alle società statunitensi di utilizzare fornitori di cloud di quei Paesi. Cina, Russia e Iran sono nel mirino del dipartimento del Commercio, spiega la testata americana raccontando gli sforzi del presidente uscente Donald Trump di rendere impossibile al successore Joe Biden compiere passi indietro nella sfida con la Cina. E in questo senso vanno lette anche la mosse di vietare le importazioni di cotone dallo Xinjiang e di aggiungere altre quattro società cinesi nella lista nera del Pentagono di società sospettate di spionaggio industriale. Tra queste c’è Smic (Semiconductor Manufacturing International Corp), considerata come la società chiave con cui la Cina sta cercando di espandere il proprio mercato interno di semiconduttori, il cui titolo dopo l’ingresso nella lista nera è stato sospeso alla borsa di Hong Kong.

IL FRONTE MILITARE

Anche il presidente-eletto è finito nel mirino cinese, come rivelato da William Evanina, capo del controspionaggio della National Intelligence durante una discussione all’Aspen Institute. E a invitarlo a non perdere tempo nel braccio di ferro con Pechino, ci ha pensato anche il generale Stanley McChrystal, ex comandante delle forze Usa e Nato in Afghanistan e suo consulente. Intervistato da Axios.com il generale ha spiegato che “la capacità militare della Cina è aumentata molto più velocemente di quanto la gente comprenda” e che agli Stati Uniti è rimasto poco tempo per prendere di petto la questione ed evitare scenari come la capitolazione di Taiwan.

CHE COSA FARÀ BIDEN

Il tema cinese rimarrà, dunque, anche con la prossima amministrazione. Ormai l’ascesa di Pechino è una preoccupazione bipartisan. Basti pensare che il Congresso ha da poco dato il via libera al progetto di legge che costringe le aziende cinesi quotate negli Stati Uniti ad aderire agli standard contabili americani. Nel frattempo, il presidente-eletto Biden ha già annunciato che non toccherà i dazi del 25% imposti dal precedessore su una serie di prodotti e componenti industriali cinesi per un valore complessivo di 250 miliardi di dollari in base all’accordo commerciale di “Fase 1”. Inoltre, intervistato dal New York Times, ha promesso sforzi per mettere “assieme tutti i nostri alleati — o almeno quelli che lo erano — sulla stessa lunghezza d’onda”. L’idea è quella di un forum delle democrazie che coinvolga agli alleati in Europa e in Asia per “sviluppare una strategica coerente”. E funzionale a questo disegno sarà la creazione di uno “zar dell’Asia”, una posizione all’interno del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, come rivelato dal Financial Times. E con l’agenda condivisa per rafforzare i rapporti transatlantici da poco presentata, l’Unione europea ha già risposto presente. Anche sul cloud e, più in generale, sul digitale? Staremo a vedere.

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