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Ho letto con grande attenzione l’intervento su Formiche.net di Maurizio D’Amico, membro del Gabinetto di presidenza della Federazione mondiale delle Zone franche ed Economiche Speciali (Femoda), sul ruolo che dovrebbero avere le Zone Economiche Speciali nel nuovo Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza del governo italiano.

L’analisi di fondo di D’Amico muove da un tema fondamentale sul quale sono intervenuto in diverse occasioni proprio su Formiche.net: l’assenza di qualsiasi strategia dei vari governi sulla portualità italiana.

La marginalità delle Zes nel documento relativo al Next Generation Eu, quindi, si colloca nell’alveo della disattenzione nazionale verso il tema del mare, che sta determinando non solo una distinzione sempre più netta tra le regioni del Nord (agganciate anche grazie alla portualità al sistema industriale nordeuropeo) e quelle del Sud Italia (monadi isolate all’interno di un’area mediterranea in grande fermento economico, sociale, culturale e militare), ma nei fatti sta allontanando sempre di più il nostro Paese da quella che resta la più importante opzione per collocarsi nella nuova globalizzazione post-pandemica.

Il tema della logistica integrata come strumento per ricostruire il Paese, andava posto all’attenzione della presidenza del Consiglio già in sede di composizione della task force, guidata da Colao.

In questi ultimi anni, invece, a proposito di logistica e delle nuove intermodalità, non c’è stato un provvedimento dei governi Conte 1 e 2 a sostegno dell’economia del mare.

Del resto la portualità è fuori dai radar degli esecutivi da molti anni e ogni Autorità Portuale pur dipendendo dal Mit si muove in modo autonomo, come ha scelto di fare il Porto di Trieste dialogando prima con il gruppo cinese China Communication Construction Company, e poi sottoscrivendo un accordo con la Hhla di Amburgo per diventare uno snodo centrale di scambio mare-ferro tra Europa e Far East.

L’attuale Pnrr, osserva D’Amico, dedica scarso spazio alle Zes, indicando che l’unico riferimento è contenuto, nell’ambito della “Missione 3: Infrastrutture per una mobilità sostenibile”, all’interno della seconda componente intitolata “Intermodalità e logistica integrata”, in cui è previsto un programma nazionale di investimenti diretto alla creazione di un sistema portuale competitivo e sostenibile dal punto di vista ambientale per sviluppare i traffici collegati alle grandi linee di comunicazione europee e valorizzare il ruolo dei Porti del Sud Italia nei trasporti infra-mediterranei e per il turismo.

Lo scarso spazio alle Zes nel documento del Piano Nazionale Rilancio e Resilienza fa il paio con il sostanziale fallimento ad oggi della misura, un reale campanello d’allarme di quello che può accadere quando la farraginosità burocratica, la visione miope del futuro e in alcuni casi anche la scarsa attitudine manageriale, tendono a rendere ancora più complicato un processo che dovrebbe andare nella direzione opposta e che, invece, conferma i vizi antichi del nostro Paese.

Lo stand-by delle Zes, determinato anche dalla scelta italiana di concentrarsi su un rigido sistema di procedure amministrative e sul sostegno alle misure di attrazione fiscale in parte inadeguate per attrarre grandi investitori (il credito di imposta), è il campanello d’allarme di quello che potrebbe accadere se i criteri già individuati dovessero valere anche per il Recovery Plan, sul quale si stanno concentrando le amministrazioni italiane, immaginando improbabili progetti, come se solo il contenitore e non la visione strategica dovesse essere chiamato a risolvere decenni di mancati investimenti e scelte di prospettiva insufficienti.

D’Amico chiede al governo di ampliare le opportunità delle Zes con nuove strategie di attrazione di investimenti, che dovrebbero includere un utilizzo più avanzato delle Zes, con la previsione di agevolazioni amministrative e fiscali più incisive, la strutturazione della loro governance in modo più agile e con un’accentuazione del ruolo attribuito alle istituzioni centrali, a garanzia del compimento di funzioni di intelligence finanziaria, contro possibili rischi speculativi internazionali diretti verso l’economia nazionale.

La conquista dello spazio e la scelta di lasciare la terra per vincere la resistenza del mare, è stato uno dei presupposti che hanno trasformato in pochi secoli un Paese dedito alla pastorizia come la Gran Bretagna, nel più potente e importante impero, che aveva imposto il suo concetto di spazio non solo con l’uso della forza, ma soprattutto con gli strumenti della finanza e con la conquista e la costruzione di piattaforme, per fare fluire velocemente le merci da una parte all’altra del globo.

I porti in quella strategia avevano un ruolo decisivo perché costituivano dei presidi e degli snodi sui territori, dei gatekeeper diremmo oggi. E, come insegnano anche i casi recenti Amazon e Ikea, chi governa e gestisce le piattaforme determina il flusso di tutti gli altri.

L’Italia torni ad essere il naturale gatekeeper politico-militare, culturale, logistico ed economico del Mediterraneo, altrimenti deve rassegnarsi ad essere una bandierina nella nuova geopolitica della logistica integrata.

Le Zes in stand-by e il futuro del Recovery Plan. L'analisi di Cianciotta

L’Italia torni ad essere il naturale gatekeeper politico-militare, culturale, logistico ed economico del Mediterraneo, altrimenti deve rassegnarsi ad essere una bandierina nella nuova geopolitica della logistica integrata. Il commento di Stefano Cianciotta, presidente Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture di Confassociazioni e Abruzzo Sviluppo Spa

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