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Il muro di gomma egiziano sulla tragica uccisione di Giulio Regeni è un macigno nei rapporti fra Roma e il Cairo. L’Italia continuerà a chiedere che sia fatta giustizia, usando tutti i mezzi diplomatici e giudiziari disponibili. Ma l’ostracismo non è un’opzione.

L’Egitto non sparisce dalla carta geografica. Accanto alla Libia, sul Mediterraneo orientale, cancello del Corno del Corno d’Africa e del Golfo. È sempre lì, nostro dirimpettaio mediterraneo, con cui condividiamo interessi, a volte convergenti a volte meno, minacce come il terrorismo e una fitta rete di rapporti economico-commerciali-energetici. Insomma, è un Paese con il quale è indispensabile continuare a fare politica estera.

Fare politica estera significa, in questo caso, fermezza nel chiedere giustizia su Regeni e realismo nel riconoscere che il rapporto fra Italia e Egitto è strategico. Esiste un interesse nazionale a coltivarlo anche se l’omicidio del giovane ricercatore italiano resta un nodo insoluto e la nostra profonda insoddisfazione non deve assolutamente essere nascosta. Difficile? Sì – ma questa è politica estera.

Altri Paesi, in situazioni analoghe, lo fanno. Noi invece lasciamo troppo spesso che rapporti bilaterali importanti diventino ostaggio di episodi seri, gravi sul piano umano, ma che non nascono da uno scontro o contrasto fra le due nazioni. È stato così col Brasile per Cesare Battisti e con l’India per i marò – entrambi i problemi si sono risolti da soli quando abbiamo scelto di trattarli a parte anziché metterli al centro del rapporto bilaterale.

Non so – e d’istinto dubito – se vi sia una congiura internazionale per boicottare l’Italia in Egitto. Francamente, la sola idea che Giulio Regeni sia rimasto vittima di uno spregiudicato gioco euro-mediterraneo di potere mi fa inorridire. Preferisco l’interpretazione più banale, cioè le barbare sevizie sfuggite di mano ai servizi egiziani.

Ma non c’è alcun dubbio che in Mediterraneo, Nord Africa e Medio Oriente si sia scatenata una concorrenza geopolitica senza esclusione di colpi anche fra partner europei. C’è una rivalità franco-italiana che fa il gioco della Turchia e degli attori extra-europei, piccoli e grandi.

Fare politica estera significherebbe anche prendere il toro per le corna con Parigi: anziché lamentarci se Macron riceve l’egiziano Al-Sisi o il libico Haftar, mettere le carte in tavola col presidente francese. Senza inutili moralismi: di autocrati è purtroppo pieno il mondo e anche Roma ne riceve una buona dose.

Anche questo fa parte del realismo indispensabile nei rapporti internazionali. L’Egitto è un Paese mediterraneo, arabo e africano importante. L’Italia deve poter mantenere un rapporto bilaterale costruttivo pur nella dialettica legata all’omicidio di Regeni.

Dobbiamo farlo da soli. A parte qualche generica solidarietà non illudiamoci che l’Ue o altri ci tolgano le castagne dal fuoco. E soprattutto, per piacere, non facciamo sciocchezze tipo richiamare l’Ambasciatore quando ce n’è il massimo bisogno – al Cairo.

Italia-Egitto, non scherziamo col fuoco. Firmato Stefanini

Fare politica estera con la P maiuscola significa chiedere fermamente la verità sull’uccisione di Giulio Regeni senza abbandonare un Paese, l’Egitto, che è strategico per l’interesse nazionale. Faremmo un favore a chi, da tempo, ci vuole fuori dai giochi in quella regione, anche in Ue. Il commento di Stefano Stefanini, senior advisori Ispi, già rappresentante permanente dell’Italia alla Nato

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