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Ad oggi il coordinamento della politica tecnologica è in gran parte ad hoc e disarticolato. In questo modo si sono create grandi inefficienze che derivano dalla profonda sottovalutazione di quanto le democrazie liberali mondiali siano strettamente connesse sul tema tecnologico.

Nessun Paese, da solo, può raggiungere le competenze necessarie in tutti i settori tecnologici: calcolo quantistico, biotecnologie, intelligenza artificiale (IA), robotica e telecomunicazioni senza fili.

È necessaria una migliore cooperazione fra le democrazie leader del settore, con il fine di creare norme e standard collettivi per l’uso della tecnologia. L’acquisizione di competenze nei campi tecnologici più emergenti, come la sorveglianza tramite IA, consente ai regimi autocratici di Paesi come Cina, Russia, Corea del Nord e Venezuela di controllare e reprimere le proprie popolazioni con più efficacia.

La proliferazione delle nuove tecnologie erode anche le fragili istituzioni democratiche delle medie potenze e dei Paesi in via di sviluppo di tutto il mondo. Le democrazie più all’avanguardia nel settore dovrebbero fare da esempio e lavorare cooperativamente per costruire framework giuridici e set valoriali per un uso più giusto della tecnologia.

Nessun gruppo multilaterale esistente è però attrezzato per navigare le complesse acque dello sviluppo, dell’uso e della diffusione delle tecnologie che saranno al centro della competizione fra le grandi potenze nel futuro prossimo. La Cina, per esempio, investe sempre più nel progresso tecnologico e sarà presto pronta a raccoglierne i frutti in termini di benefici economici e influenza geopolitica.

Che sia solo il governo cinese a dettare i termini dell’economia globale non è interesse di nessuno, se non del governo cinese stesso, poiché probabilmente questo provocherebbe un’erosione della sicurezza economica e nazionale della maggior parte degli Stati del mondo.

Le democrazie liberali che oggi possono considerarsi leader mondiali nel campo della tecnologia – dieci Paesi (Australia, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Corea del Sud, Paesi Bassi, Regno Unito, Stati Uniti) e l’Unione europea (come soggetto a sé stante) – dovrebbero unire le forze per creare un’alleanza in cui ogni Stato possa collaborare e confrontarsi.

Mentre l’ascesa della Cina come potenza tecnologica sottolinea il bisogno di costruire un’alleanza tecnologica, lo scopo principale dell’associazione di cui si parla non dovrebbe essere quello di creare regole in contrasto con le politiche cinesi. L’obiettivo principale dovrebbe essere quello di costruire un insieme di misure per aumentare la competitività, la produttività e le capacità innovative, con il fine di porre le basi per un futuro tecnologico profittevole, che sia radicato in mercati liberi e aperti e che sia anche in linea con i valori liberaldemocratici.

La crisi pandemica presenta l’opportunità di agire. Il coordinamento delle politiche tecnologiche sarà essenziale per superare le divisioni che si sono create tra le principali democrazie sulle misure protezionistiche talvolta adottate. In effetti, una reazione comune alle conseguenze della pandemia di Covid-19 è stata quella di un generalizzato passo indietro rispetto alla globalizzazione; in diversi Paesi si è parlato di delocalizzazione o riconversione delle catene di approvvigionamento.

Pechino, poi, minaccia spesso di utilizzare a proprio vantaggio l’interdipendenza economica che la lega a molti Paesi occidentali, ma comunque il totale decoupling o la completa riorganizzazione delle catene produttive sono proposte impraticabili. L’autarchia economica e l’isolazionismo non sono elementi di una strategia rivolta alla costruzione di un futuro tecnologico vantaggioso.

La fattibilità dell’alleanza non sussiste solo grazie all’interesse da parte degli Stati, ma anche grazie a un notevole allineamento su quelle che dovrebbero essere le priorità iniziali della politica tecnologica. Fra queste si considerino anche la fragilità della filiera produttiva, la salvaguardia dei vantaggi tecnologici competitivi, il finanziamento e la costruzione di infrastrutture digitali sicure, la creazione di standard condivisi e norme. Solo così si potrà delineare un codice comune per una nuova era di cooperazione tra le democrazie leader nel settore tecnologico.

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