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Eravamo all’angolo tra Via Uffici del Vicario e Piazza Montecitorio con Pinuccio Tatarella. Si parlava delle consuete riorganizzazioni interne di partito. Ero giornalista del Secolo d’Italia, ma avevo anche incarichi di vertice nell’organizzazione giovanile del partito e insieme a Tatarella e ad altri stavamo lavorando intensamente alla riorganizzazione della destra italiana.

Tatarella mi disse: “bisogna riorganizzare anche il nostro giornale, il Secolo d’Italia, dovresti fare il vicedirettore”. Io avevo qualche dubbio, perché si trattava di un ulteriore onere, con altro tempo da sacrificare per un nuovo impegno. Mentre si discuteva tra di noi ed io esprimevo qualche dubbio, arrivò all’angolo Arturo Diaconale. A quel punto Tatarella mi disse: “facciamo decidere ad Arturo se devi fare questa cosa o no”. Tatarella raccontò ad Arturo, che passava per caso, la questione che stavamo discutendo tra di noi e, a richiesta di un parere, disse: “ma certamente, Maurizio devi accettare. Un incarico in un giornale, anche se piccolo, è sempre importante e consente di esprimere idee che sono fondamentali nell’azione politica”. Anche spinto da questa considerazione di Arturo accettai l’incarico e poi assunsi anche la direzione del giornale.

Racconto questo episodio per dire che Arturo è sempre stato un uomo molto considerato, la cui opinione era importante. Ha sempre rappresentato i suoi valori liberali, di un centrodestra unitario, con eleganza, ma anche con tenacia. Qualsiasi cosa abbia fatto l’ha fatta con passione. Anche quando si dedicava al Parco Nazionale d’Abruzzo sollecitava attenzione in parlamento, dove troppe risorse venivano sottratte al nostro patrimonio ambientale.

Promotore infaticabile di convegni, di iniziative, di giornali, di incontri, autore di libri, fino all’ultimo è stato un punto di riferimento e di promozione di amicizia e di confronto. Ha cercato di promuovere sempre e comunque la sintesi tra le diverse anime del centrodestra. È stato animatore del sindacalismo giornalistico, con la fatica di farlo da posizioni che non erano quelle prevalenti. Ma anche in quel contesto, quando è sceso in campo, ha ottenuto un rispetto generale.

Quando mi capitò di proporlo a Berlusconi e ad altri esponenti di vertice come consigliere d’amministrazione della Rai tutti dissero: “ottima idea”. Nessuno ebbe da ribattere alcunché. Perché Arturo era un uomo rispettato da tutti e stimato da tanti, anche su versanti politici lontani da quello che ci ha visto uniti per tanti anni. È difficile trovare un’altra persona operosa come lui, disponibile all’ascolto ma sempre prodigo nella proposta e nella creazione di iniziative. Un uomo del fare.

Che ha difeso con tenacia la testata de L’Opinione. Che anche quando la malattia lo ha colpito ci ha proposto iniziative televisive, guardando a Roma e alle elezioni per il Campidoglio. Fino a quando le sue energie gliel’hanno consentito, è stato in prima linea. E da Arturo ti aspettavi sempre qualcosa di nuovo. Qualcosa da fare insieme. Ci divideva la fede calcistica. Ma anche nel contesto sportivo è stato elemento di moderazione, di mitigazione, rispetto a slanci e di esuberanze. Ho sperimentato la sua saggezza anche in quel contesto.

E lo ricordo nei derby allo Stadio Olimpico, con la divisa sociale della Lazio, che accennava un saluto e un sorriso mentre altri facevano prevalere la contrapposizione calcistica dell’evento alla cordialità. Arturo è stato davvero un grande italiano. Averlo conosciuto ed averlo avuto come amico è stato un privilegio. Ci ha arricchito con la sua saggezza, con la sua forza, con le sue proposte.

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